La sezione No Border del Biografilm Festival 2016, dedicata al tema dei confini e delle migrazioni, prosegue con Walls. Dopo Les Sauteurs, che accompagna i clandestini subsahariani nel tentativo di raggiungere la Spagna e La mécanique des flux, che indaga la ben nota situazione del Mediterraneo, Walls cerca di gettare uno sguardo più ampio e globale sul fenomeno migratorio: realizzato da Pablo Iraburu e Migueltxo Molina, il terzo documentario della rassegna si sviluppa infatti in contesti diversi, geograficamente e politicamente.

Walls si snoda quindi come un ricco racconto corale ambientato a cavallo di tre fra i confini più problematici del globo: quello tra Marocco e Spagna, tra Zimbabwe e Sud Africa e, ovviamente, Messico e Stati Uniti. I documentaristi cercano di dare voce a tutte le parti in causa, concedendo uguale spazio ai clandestini, alle guardie di frontiera e persino alle popolazioni autoctone delle aree di confine, che vivono quotidianamente gli scontri le instabilità di queste regioni.

Pur con occhio attento alla specificità dei contesti socio-politici e delle storie personali, Walls sembra voler soprattutto veicolare chiaro e forte questo messaggio: i muri che separano le persone sono tutti uguali, e non esistono mai confini “giusti”.  Il fiume Limpopo in Zimbabwe, le barriere di filo spinato in Marocco e i muri di cemento in Messico sono quindi frutto di un unico grande progetto, che mira a creare distanza tra le persone e ad alimentare i conflitti. Iraburu e Molina lo ribadiscono di continuo: “Walls are like wars”. Le frontiere non sono un’infelice conseguenza dell’attuale assetto geo-politico, ma una delle principali cause dell’escalation di diffidenza e odio cui stiamo assistendo.

Se il confine è l’elemento narrativo attorno a cui ruota tutta la narrazione, la frontiera è esplorata visivamente con una maniacalità tale da essere trasformata in elemento astratto. Le immagini delle barriere ritornano con un’ossessività a tratti quasi disturbante, e il concetto sembra ulteriormente ribadito dall’uso frequente dello split screen, che accoglie nella stessa inquadratura chi sta “al di qua” e chi “al di là” del confine pur marcandone l’irriducibile lontananza.

Encomiabile nelle intenzioni, forse Walls non ci dice forse nulla che già non sapevamo. Eppure, quando in apertura del film scorrono le immagini della caduta del muro di Berlino e risuonano le parole “ora non ci saranno mai più confini”, non si può che rimanere raggelati.

Maria Sole Colombo