Prima del Western revisionista degli anni Settanta e dell’eclatante gesto di Marlon Brando che rifiutò l’Oscar 1973 in segno di protesta a favore della causa indiana, fu Johnny Cash con il suo Bitter Tears: Ballad of American Indian (1964) a scuotere gli animi ipocritamente sopiti di un’America che stava aprendo per la prima volta gli occhi sulle contraddizioni interne troppo a lungo ignorate.
In anni in cui la canzone popolare trovava ispirazione e riscontro nei grandi fenomeni di massa che interessavano il Paese, il folk-singer di Kingsland realizza un concept album di provocatoria denuncia dell’eccidio perpetrato dalla maggioranza bianca verso le popolazioni indiane native, pagina oscura della storia americana su cui fino ad allora si era mentito o taciuto. Nonostante il percorso progressista intrapreso allora dalla nazione e la forza dei brani scritti in collaborazione con il cugino Peter LaFarge, Bitter Tears – la cui sola copertina era già un manifesto programmatico – fu totalmente ignorato dalle radio e dalle televisioni statunitensi, decretandone così l’insuccesso: un boicottaggio che era ovviamente più una scelta politica che commerciale.
A distanza di cinque anni dalla pubblicazione di A Heartbeat and a Guitar che ricostruiva la genesi e le vicissitudini del disco, lo scrittore e regista italoamericano Antonio D’Ambrosio torna sull’argomento in occasione di Look Again to the Wind, album-tributo collettivo per i cinquant’anni dell’originale cashiano, realizzato da alcuni tra i grandi nomi della scena folk statunitense.
Girato quasi esclusivamente in studio di registrazione alternando riprese delle incisioni ad interviste agli artisti coinvolti, D’Ambrosio firma un film-backstage il cui soggetto non è tanto il noto autore, bensì la sua opera. Ciò che emerge dalle testimonianze di Steve Earle, Gillian Welch, Bill Miller, Nancy o Norman Blake (unico rappresentate della session originale ancora in vita) è infatti l’importanza del disco di Cash nella loro formazione di musicisti prima e di americani poi, una riflessione ad ampio raggio sulla valenza della musica come strumento di impegno civile.
Il progetto voluto dal cantautore Joe Henry qui in veste di produttore, non è da intendersi dunque solo come operazione nostalgica dedicata a una pietra miliare della cultura nazionale, quanto vero e proprio gesto politico che assume un valore aggiunto in relazione al contesto civile coevo, scenario carico di tensioni e conflitti che minacciano, ora come un tempo, il sempre delicato equilibrio sociale. Perché la musica è prima di tutto strumento di aggregazione – non a caso i musicisti si trovano per suonare ed ognuno apporta un contributo essenziale all’ensemble con il proprio strumento – come pure veicolo di idee e messaggi per lo più universali, ma non per questo ingenui o superflui.
Lapo Gresleri – Associazione Culturale Leitmovie