Sono diverse le direzioni in cui si sviluppa Strike a Pose, documentario di Ester Goud e Reijer Zwaan sui ballerini del Blonde Ambition Tour di Madonna (1990). C’è la strada del meta-documentario, in cui si raccontano genesi e conseguenze del documentario A letto con Madonna, che narrava la vita quotidiana dei partecipanti al famoso tour; c’è la via del bio-pic collettivo, esplorazione delle vite dei sette ballerini nei 25 anni successivi; c’è il sentiero del melodramma, che vuole suscitare commozione mostrandoci il riavvicinamento dei sei ragazzi ancora vivi.

Questa molteplicità di direzioni si riflette nella varietà di stili e materiale visivo che caratterizza la pellicola: interviste, spezzoni di Truth or Dare, backstage in bianco e nero, frammenti di live e balletti eseguiti ad hoc sulla musica per piano e chitarra di Bart Westerlaken.

Il primo intento è il più riuscito: lungi dall’essere una didascalica cronistoria degli eventi, il racconto sottolinea l’enorme importanza che Truth or Dare e lo stesso tour di Madonna ebbero a livello sociale. Per l’epoca era grande lo shock che provocavano le nuove immagini del maschio e della donna presentate da Madonna e dai suoi ballerini: una donna sessualmente aggressiva e un uomo oggetto di desiderio a cui veniva chiesto di essere sessualmente responsabile. Ma soprattutto appariva sconcertante la normalità dell’essere gay: un’omosessualità sfrontata, esibita, che forzava l’assimilazione da parte del pubblico come fatto naturale. Diverse sono le testimonianze dei fan raccolte per difendere uno show e un documentario – allora considerati scandalosi – che grazie al loro linguaggio esplicito contribuirono all’auto-accettazione di tanti omosessuali.

Ci furono tuttavia anche conseguenze negative: il film insiste sulle difficoltà personali e professionali che ognuno dei protagonisti affrontò negli anni, dalle dipendenze da droga e alcol alla sieropositività. Con le loro confessioni davanti alla macchina da presa, i ballerini si fanno così portavoce del grande tema del film: una riflessione amara sul mondo dello spettacolo e sulla paura che impedisce di avere un rapporto sincero con il mondo. La rivelazione che alcuni di loro sapessero già durante il tour di aver contratto l’HIV è particolarmente significativa proprio perché il messaggio dello show era la libertà di espressione. “Express yourself cantava Madonna, ma i suoi amici e collaboratori non potevano esprimere nemmeno la propria paura. Goud e Zwaan portano così in superficie il tema della maschera, che nello spettacolo come nella vita non cessa mai di farci mettere in posa.

Alessandro Guatti – Associazione Culturale Leitmovie