In occasione della proiezione di Boudu salvato dalle acque di Jean Renoir, pubblichiamo una recensione del regista e sceneggiatore Paul Schrader, ex critico cinematografico, scritta nel 1969. L’originale in inglese è reperibile qui:

Boudu non è magnifico soltanto per l’atteggiamento accondiscendente con cui ci riferiamo ai “classici”. Trentasette anni dopo la sua realizzazione, Boudu, a livello di prime visioni, compete con gli ultimi film di Bergman, Buñuel e Truffaut. Conservatosi intatto per tre decenni, oggi appare altrettanto grande, o ancor più grande, di quanto non fosse già nel 1932. Boudu (Michael Simon) è un vagabondo sbrindellato che, dopo aver perso il suo cane altrettanto rognoso, interrompe il bighellonare nei Bois de Boulogne per buttarsi nella Senna. Viene salvato – per suo dispiacere – da Lestingois, un vero e proprio libraio borghese della Rive Gauche.

Lestingois fa di Boudu il suo porcellino d’India – il suo trasgressivo gioco domestico – e tenta di conferire a Boudu alcune semplici qualità della classe media. Boudu è irremovibile e, anche se stretto in nero abito borghese, continua a dormire sul pavimento, fa verticali contro il muro, mangia sardine con le mani, palpeggia la domestica e, colpo di grazia, sputa su una prima edizione de La fisiologia del matrimonio di Balzac. Dopo che Boudu vince 10,000 franchi alla lotteria, Lestingois decide di rendere noto il suo doppio adulterio (lui con la cameriera; Boudu con sua moglie), visto che Boudu ha sposato la cameriera. Ma questa ritrovata rispettabilità è troppo per Boudu, che manda all’aria i festeggiamenti nuziali buttandosi nella Senna e riemerge ai Bois per tornare ai vestiti da vagabondo.

Renoir adatta Boudu salvato dalle acque da una mediocre opera omonima di René Fauchois. L’adattamento di Renoir sposta l’interesse centrale dell’opera dal libraio a Boudu. Per Fauchois, Lestingois era il personaggio principale; era interessato al modo in cui l’apparizione accidentale e simbolica di Boudu influisce sul libraio. Diversamente, Renoir ci rende partecipi dello spirito libero di Boudu e considera Lestingois come un intruso benefattore.Qui sta il segreto del successo di Boudu.

I moralisti tradizionali considerano lo spettatore uno che, guardando le vetrine, vede dall’esterno delle anomalie che accetta o rigetta. Il loro protagonista è uno di “noi”, il loro espediente narrativo è uno di “loro”, e la rivelazione morale arriva quando uno di “noi” capisce che uno di “loro”, dopo tutto, non è così cattivo. Questa tecnica ha determinato il successo popolare di Stanley Kramer con film come La parete di fango e La nave dei folli. Un grande artista e moralista come Renoir analizza un comportamento anomalo (cioè, non civilizzato, incontaminato ovvero, in effetti, il comportamento più naturale) e lo fa sembrare un principio base della vita, così piacevole, e così contagioso che persino i più grandi adulatori della classe dirigente possono identificarsi con esso. Solo in seguito sono costretti a ricomporre la contraddizione che Renoir ha loro imposto. Questa fondamentale inversione di trama ha portato alla nascita di alcuni dei film più grandi. Ci ha permesso di vedere la guerra con gli occhi dei Tedeschi in All’ovest niente di nuovo e le grandi città con gli occhi dei gangster in Scarface.

Per l’importanza centrale del personaggio di Boudu, Boudu salvato dalle acque è un film d’attore più di qualsiasi altra pellicola di Renoir. Michel Simon ha recentemente osservato che quello di Boudu è stato il suo ruolo preferito, senza dubbio perché la sua creazione personale e autonoma del ruolo di Boudu è stata essenziale per la concezione del film da parte di Renoir. Il regista e l’attore mantengono un’integrità individuale tale che Boudu potrebbe quasi esser definito un film realizzato in collaborazione.

Sebbene Simon lavori con il convenzionale bagaglio d’espedienti del comico, li trascende per creare un personaggio mitico (come si vedrà in seguito). Utilizza tutti gli espedienti comici tradizionali: gag visive, reazioni a scoppio ritardato, gag in crescendo, gag ripetute, giochi di parole e scivoloni. Come nei comici “pandemici”, come in Chaplin o Keaton, le gag sono la conseguente manifestazione della contagiosa personalità di Boudu. Persone di diverse nazionalità si sono sentiti coinvolti dal clochard di Chaplin; e accadrebbe la stessa cosa per il Boudu di Simon se non fosse per le barriere linguistiche.

Chaplin e Simon hanno in comune molto di più dell’essere due dei grandi vagabondi dello schermo: sono entrambi variazioni dello stesso tema mitico. Il vagabondo di Chaplin e il Boudu di Simon sono stati entrambi considerati come discendenti del Dio greco Pan, idillico dispensatore di greggi e terreni, sebbene Boudu sia più vicino a qualcosa di Priapo, una divinità collegata. Prima di salvare Boudu, Lestingois sospira “Un giorno un pastore verrà e mi porterà via. Il mio ‘pipeaux’ (il flauto di Pan) è stanco”. Quando spia Boudu sospeso sulla Senna, il libraio esclama, “Priapo!”. E come sanno anche i più ignoranti, Priapo è il Dio del potere riproduttivo maschile, dell’amore sessuale, e il fallo è il suo simbolo. Boudu è Priapo rispetto al Pan privo d’insidie di Chaplin. Boudu non fa segreto della sua aggressività sessuale nei confronti della cameriera e della moglie di Lestingois. Lo stringere le sue sudice mani attorno ai fianchi della cameriera è un’azione tanto naturale quanto quella di lucidarsi le scarpe sul copriletto di satin. La cameriera è molto lontana dalla verginale Chloë, violata da Boudu molto prima del matrimonio, ma non dopo. Boudu incarna lo spirito della libertà sfrenata – e della dissolutezza.

La borghesia ha sempre pensato che le minoranze (neri, hippie) si divertissero di più sessualmente, e Boudu ne è una prova. Tutto ciò che Boudu fa ha una connotazione sessuale: la sua camminata goffa e spensierata, la mascella sporgente e gli occhi roventi. Sebbene sia un membro dell’“immeritevole povertà”, Boudu è paragonabile all’Alfred Doolittle di Shaw. Dopo esser diventato ricco, Doolittle sfrutta la borghesia a suo vantaggio, mentre Boudu continua a sfruttare la borghesia per il bene di tutti. Boudu non è neanche un figlio dei fiori; vuole il sesso, non l’amore. È un primitivo edonista: trae piacere da tutto quello che fa.

In questo contesto è importante comprendere il tentativo di suicidio di Boudu. Non è uno di quei casi in cui “chi perde la vita la ritrova”, come pensano Lenstingois, Fauchois e i moralisti da quattro soldi. Decide di suicidarsi semplicemente perché ha perso qualcosa che gli era molto caro, il suo cane. È una reazione primordiale e irrazionale, che non viene per nulla compresa da Lestingois, un uomo che vende libri.

Boudu salvato dalle acque è stato criticato perché alcuni lo considerano un tentativo di Renoir di arruffianarsi l’industria cinematografica francese dopo l’ostilità dimostrata verso il suo film precedente, il naturalistico La cagna. Persino a questo livello Renoir previene chi parla di rispettabilità cinematografica, che sia pro o contro. Alla fine de La cagna Michel Simon, dopo aver ucciso la sua immorale innamorata, diventa un barbone. C’è il sospetto che, come in L’angelo azzurro di Sternberg, Renoir pensi che questo infine sia il destino dei libertini stupidi. Boudu smentisce questa propensione. Boudu fuoriesce dal set de La cagna, ma non è tormentato dal rimorso, né si sente in colpa, è semplicemente libero da quelle convenzioni sociali che spingono gli uomini a commettere atti come l’omicidio.

Renoir ha descritto Boudu come un “perdigiorno” e ha detto che il perdigiorno è il risultato più alto della società migliore. In questa dichiarazione e in Boudu salvato dalle acque, è implicita l’idea che in civiltà come la nostra, ben lontane dall’essere le migliori, spiriti liberi come Boudu siano anacronistici – ma mai pericolosi. Non tutti possiamo diventare Boudu – la Senna non è grande abbastanza da contenerci tutti quando vi saltiamo dentro. Sebbene Renoir non possa non tenere conto delle piccole minuzie della civilizzazione che rendono la vita sopportabile, vuole ricordarci l’alto prezzo che dobbiamo pagare per la nostra “civiltà”.

(da Roy Menarini, a cura di, La luce della scrittura. Paul Schrader critico, sceneggiatore, regista, Transmedia, Gorizia, 2009)