Compie 40 anni uno dei tardi capolavori di Luis Buñuel, Quell’oscuro oggetto del desiderio. Come spiega Andrea Meneghelli, “il regista e Jean-Claude Carrière disseminano la storia di false piste, simboli da decifrare, rompicapi narrativi che rinfrescano la mente: in primo luogo, la scelta di far interpretare la stessa donna, al centro dell’ossessione, da due attrici per nulla somiglianti, fingendo che tutto sia perfettamente normale”. Ecco perché ci piace riconsiderare la figura femminile nell’analisi che segue….

Dalla sardonica ed elegante critica al discreto fascino di una borghesia onnipresente, Buñuel  proietta nell’anfibolica personalità di Concita una quanto mai contraddittoria, ma affascinante, visione della figura femminile. Attraverso un incessante e frustrante gioco di seduzione, Concita metterà in pratica tutti i più diabolici espedienti degni di una vera e propria ars amatoria evitando sistematicamente di concedersi al suo anziano amante  Mathieu Fever. Ciò che stempera tutta la drammaticità della vicenda è, fin dall’inizio, un uso efficacemente ironico della conversazione e del dialogo che rende sempre più concitato e incalzante il racconto di Mathieu ai suoi compagni di viaggio, scena d’esordio. 

Con questo suo ultimo balzo dell’immaginazione, il regista affina i contorni di una passione muliebre che sfocia nell’ossessione, nell’atavico desiderio di possesso e nell’umiliazione: legata, quest’ultima caratteristica, alla radicalità provocatoria con cui Buñuel sviluppa il tema della sessualità umana visibile, soprattutto, in Bella di giorno (1967). Severine, interpreta da Catherine Deneuve, incarna la frigidità di una donna altera ed eterea, che dà sfogo alla sua repulsione in un distorto e nevrotico erotismo: a tale psicologia femminile esplorata in un tumultuoso vissuto interiore fa contraltare il movimento errante del povero Mathieu, fissato nei suoi perenni tentativi fallimentari. 

Il dramma si attenua e si dissolve a causa di un’equivoca alterazione del reale: Concita non è unica, bensì molteplice. Buñuel fa sì che la sua duplice persona e personalità si colori di una consueta normalità, la paradossale, ma solita normalità onirica con un criterio che potremmo definire del meraviglioso verosimile. Pertanto, lo spettatore vede due donne fisicamente diverse nella medesima persona che si presenta quotidianamente agli occhi di Mathieu tanto da poter arrivare a leggere la vicenda come lo straniante sogno di un borghese annoiato. 

Uno stato di sospensione e straniamento caratterizzano la vicenda tutta, arrivando ad esiti anche tragico-ironici e il progressivo allontanarsi dei due protagonisti dalla compagine sociale e cittadina li rende confinati nelle loro instabili interiorità, vulnerabili e frangibili, ma estremamente indifferenti al divenire intorno a loro. Entrambi sono la metafora di una borghesia sempre più vanesia e concentrata su se stessa, la cui umanità e, nel contempo, bestialità Buñuel ha efficacemente smascherato con la figura dell’impenetrabile, sfuggente e pallida amante. 

Concita diviene così paradigma dell’inganno, del simulacro che svuota di senso e svilisce l’essenza e l’individualità dell’uomo, degradandolo ad una specie di Orlando moderno, in preda alla furia d’amore. Ella conduce Mathieu agli antipodi di se stesso, lo spoglia di ogni sua costruzione esteriore e apparente mostrando la vanità e la brutalità del suo appetito sessuale: un borghese colto nei bassifondi del suo animo.

Elvira Del Guercio