Totalmente Totò è il nome del volume di Alberto Anile, e della rassegna dedicata dalla Cineteca al principe De Curtis per celebrare i 50 anni dalla sua scomparsa: dal 15 al 21 aprile una selezione di 8 film che ripercorrono alcune tappe della sua fastosa carriera cinematografica tra gli anni ‘40 e ‘60. Una carriera notoriamente prolifica quella del principe della risata, con ben 97 pellicole interpretate nei 40 anni dal 1937 al 1967, dall’esordio di Fermo con le mani passando per le assidue collaborazioni con Mastrocinque, Steno, Mattoli fino agli anni ‘60 di Corbucci e la consacrazione definitiva con il pasoliniano Uccellacci  e uccellini un anno prima di lasciare questa terra.

Una delle osservazioni più frequenti su Totò, sia nell’ambito di un discorso critico che nelle comuni conversazioni “da bar”, è che Totò al cinema è stato usato male, che solo raramente gli siano state offerte le grandi occasioni a cui tanto aspirava, ma che per lo più abbia privilegiato una strada puramente “alimentare”, accettando cioè di girare un film dietro l’altro, spinto dalla “necessità di lavorare”, e non operando grosse distinzioni in base ai copioni offerti.

Uno dei suoi grandi rimpianti, soprattutto in fin di carriera, quando temeva di dover chiudere con un bilancio negativo il lunghissimo elenco della sua filmografia, fu di non aver lavorato con Federico Fellini, che Totò aveva sempre sentito come un regista a lui congeniale.

Nel bellissimo volume di Orio Caldiron (Gremese 1980), Fellini in persona offriva un punto di vista assolutamente efficace sulle vicende cinematografiche della più grande maschera del nostro ‘900, affermando una innegabile verità: Totò non poteva fare altro che Totò, come Pulcinella, cosa altro potevi fargli fare? Il risultato di secoli di fame, di miseria, di malattie, il risultato di una lunghissima sedimentazione, una sorta di straordinaria secrezione diamantifera, una splendida stalattite, questo era Totò.” Fellini sosteneva anche che Totò era un fatto naturale, qualcosa di compiuto in sè stesso che non poteva essere modificato o sopraffatto da artifici scenici o di copione, ma poteva tutt’al più essere semplicemente fotografato.

E infatti i registi con cui ha lavorato di più e meglio furono proprio coloro che lasciarono più spazio alla sua improvvisazione senza tentare inutilmente di imbrigliarla in soggetti o sceneggiature forzatamente precostituite. E spesso alla libertà di espressione della maschera Totò corrispondeva il successo di botteghino. Registi come Steno, Monicelli e Mattoli furono quelli che si trovarono di fronte alla necessità di adattare il mezzo cinematografico a Totò ed alla sua comicità, tenendo la camera fissa (come da sempre nel cinema comico, nel cinema di Chaplin), evitando i carrelli, non indulgendo alle proprie velleità registiche, ma seguendo l’estro del comico.

San Giovanni Decollato (1940) fu il primo film di Totò ad avere successo e il penultimo film del giovane Amleto Palermi, uno dei registi più prolifici tra il 1929 e il 1939 già sceneggiatore per il cinema muto, poi morto di meningite un anno dopo a soli 41 anni. La pellicola è un rifacimento dell’omonimo film di Telemaco Ruggeri del 1917. Il protagonista del film doveva essere Angelo Musco, ma a causa della sua improvvisa scomparsa, il regista ripiegò su Totò, il quale si riteneva indegno di sostituirlo, anche se la critica lo elogiò per questa sua interpretazione in cui appare in tutto il suo essere erede di quella tradizione di Commedia dell’Arte, che pareva essersi estinta con Petrolini. Nella pellicola Totò balla, canta (la Mazurka dei vent’anni), esibisce la sua partenopea venerazione per il santo del titolo, e  soprattutto porta, in nuce, i semi di quella miseria e di quella fame atavica che saranno meglio sviluppati nel successivo Miseria e nobiltà di Mattoli: la scena in cui Totò resta seduto a tavola in casa dei nonni del futuro genero, e cerca di trattenere il vino e le pietanze prima che sia sparecchiata la tavola, sarà ripresa fedelmente proprio da Mattoli nel 1954.

L’uomo, la bestia e la virtù (1953) vede Totò accanto a due star del calibro di Orson Welles ed alla ex ballerina del Mouline Rouge Viviane Romance, in un rifacimento cinematografico della commedia pirandelliana accolto al tempo come niente più di una “pochade” non troppo edificante. La pellicola, infatti, venne ritirata poco tempo dopo l’uscita nelle sale, a causa delle proteste della famiglia di Luigi Pirandello, che non aveva gradito lo stravolgimento dell’opera a cui si ispirava. Per oltre trent’anni il film divenne praticamente introvabile, fin quando nel 1993 fu trasmesso per la prima volta in tv dalla Rai. Il regista Stefano Vanzina volle come location un pittoresco borgo amalfitano (Cetara) capace di dare alla pellicola una sussidiaria valenza fotografica, insieme alla scelta di girare col sistema a colori belga Gevacolor, allora considerato più adatto per un mercato internazionale (oggi la copia a colori risulta svanita e resta soltanto il b/n). Nonostante i suoi sforzi, il film ricevette una stroncatura da parte della critica militante e seriosa, perché fu considerato un vero affronto il fatto che Totò osasse confrontarsi con il grande commediografo. Lo stesso Steno di questa pellicola disse che “fu una cosa un po’ strana”, forse un po’ fuori dalle corde di Totò, a causa del personaggio bizzarro e fondamentalmente negativo che impersona:: un cinico calcolatore, un pessimo educatore, un amante senza scrupoli, forse umanizzato solo dai suoi più gravi difetti.

Fifa e Arena (1948) è il terzo dei 16 film che Mario Mattoli gira con Totò. Il sodalizio con il regista di Tolentino, uno dei più maltrattati dalla critica, ha il grande merito di accendere i fari sul grande attore comico, da un lato regolamentando il suo torrente in piena, dall’altro portandogli ciò di cui aveva bisogno per “funzionare”, il pubblico. I film di Mattoli con Totò avevano una particolare ed innegabile caratteristica: incassavano molto di più di quello che costavano. Ed erano film che facevano ridere, che sapevano utilizzare Totò. Certo avevano uno scopo industriale, erano fatti con pochi mezzi, in pochissimi giorni, girando poche ore nel pomeriggio secondo gli usi di Totò. Naturalmente il risultato non era sempre perfetto. Quello che però era interessante era che la comicità di Totò, alla quale i registi “commerciali” non davano che un apporto di collaborazione tecnica, era sempre molto onesta, molto buona. La rapidità della realizzazione era aiutata anche da un’altra dote miracolosa di Totò, perché Totò era bravo alla prima ripresa. Fifa e Arena come scrisse Arturo Lanocita su Il Nuovo Corriere della Sera del 4 gennaio 1949: “È una piccola enciclopedia della paura ridicola, i lazzi, le smorfie e le contorsioni di un comico teatrale sono qui esasperati in una traduzione cinematografica che suscita risate”.

Totò cerca casa (1949) è il primo film della coppia Steno-Monicelli, di cui Monicelli diceva “Steno ed io diventammo registi per caso quando inventammo Totò cerca casa”.
Carlo Ponti, produttore esecutivo della Lux, contattò Totò per girare in sette settimane il film L’imperatore di Capri e siccome le riprese terminarono in anticipo, Ponti convinse il comico napoletano a interpretare un altro film per conto suo; così, ispirandosi alla commedia Il custode di Alfredo Moscariello, nacque l’idea di questo film. Carlo Ponti, avendo già il contratto con l’attore, andò da Steno e Monicelli per qualche idea: «Ho bisogno di un’idea per Totò, fatevi venire in mente qualche cosa, scrivetela alla svelta. Intanto io cerco un regista e vedo di mettere in piedi il film.» Così i due registi scrissero la sceneggiatura insieme ad Age & Scarpelli: volevano rappresentare il problema dell’alloggio, con cui intendevano dare “il ritratto di un’epoca e di una società in ebollizione.”

La pellicola incassò all’epoca ₤ 515.000.000, posizionandosi al secondo posto nella classifica stagionale alle spalle del film Catene di Raffaello Matarazzo. Gli spettatori nel periodo di proiezione del film furono 5.364.584. In Tototarzan (1950) la regia è di Mattoli, ma la sceneggiatura è un lavoro collettivo di Metz/Marchesi/Age/Scarpelli. Un Totò con la coda questa volta a cui viene dato il compito di parodiare l’ultima moda del cinema, Tarzan, l’uomo della foresta. Il film, anche questa volta, fu accusato di aver lasciato Totò solo a se stesso ed alle sue risorse, eppure se il film ebbe 3.710.577 di spettatori, probabilmente non fu così fallimentare l’operazione parodistica. Curioso notare che alla censura dell’epoca passò inosservata una scena di nudo dell’attrice Adriana Serra. È la sequenza in cui Totò vede la donna indossare una pelliccia di leopardo, le salta addosso e le strappa i vestiti, lasciandola addirittura, per pochi secondi, a seno scoperto.

Chi si ferma è perduto (1960), da poco restaurato dall’Immagine Ritrovata, è infine il primo film di Totò con Sergio Corbucci. Il regista, all’epoca 32enne, raccontava di dovere molto a Totò, e di aver potuto dirigere il film solo grazie all’amicizia che lo legava alla figlia del principe, Liliana De Curtis, perchè Totò diffidava dei giovani e delle persone che non conosceva, ed accettò di girare il film solo per intercessione di Liliana. Corbucci racconta che la sceneggiatura dei suoi film con Totò si buttava giù la mattina prima di iniziare le riprese oppure all’una di notte, si andava a casa di Totò a leggergli le sceneggiature fino a notte inoltrata, poichè il principe soffriva di insonnia. Ma spesso la mattina dopo queste sceneggiature non andavano più bene, e quando si iniziava a girare bisognava rifare tutto da capo, improvvisando, usando qualche situazione o scenetta già predisposta. I migliori film di Totò e Peppino, sono nati così, perché avevano nel sangue i tempi comici. Allora il compito del regista era solo quello di far rientrare la scena in un soggetto o di chiuderla per tempo. Chi si ferma è perduto fu definita una “farsa impiegatizia”, ma invece è una commedia dove si ride, e molto, grazie all’affiatamento della coppia comica, che mette in scena l’italus acetus fatto di corna, competizione tra colleghi, qui pro quo. E ad esse aggiunge una sapida parafrasi burlesca scespiriana con una scena del balcone in cui Totò (assieme a Lia Zoppelli) è in ottima forma.

Francesca Divella