Case che crollano, case infestate da zombie ronfanti. Nei primi due lungometraggi scritti da Ossama Mohammed (Stars in Broad Daylight, da lui diretto, e Al-Leil di Mohammad Malas), la casa, metafora della Siria, ha pareti fragili o mediocri padroni. Un dittico che può dirsi complementare sul centro vuoto del paterno a cui supplisce una ridicola deriva autoritaria, sulle storture di una società conservatrice e religiosa e sull'impotenza di trasformare lo stato delle cose da parte dei civili: gli uomini di Al-Leil le cui utopie di rivoluzione vengono dissolte nel tragico conflitto israelo-palestinese; le donne di Stars in Broad Daylight costrette al matrimonio coatto con cugini per ragioni di tradizione.

I due film sono complementari anche nel metodo d'investigazione: Al-Leil ripercorre svariati decenni di storia siriana confinandosi tra le mura della città, fantasma dal 1974, di Quneitra; Stars in Broad Daylight esplora invece spazialmente il presente (il film è del 1988) seguendo le avventure di una famiglia alauita (lo stesso gruppo religioso del dittatore Assad).

In Al-Leil Malas inscena un poetico dialogo con la madre per rievocare lo spettro della sua città natale e per “immaginare un'altra morte del padre”, come dichiarato dal regista. Come una breccia dalla fessura di un vetro rotto, la voce over materializza squarci di quotidianità in strategici punti della vicenda nazionale, dall'indipendenza del 1936 al golpe del 1963.

Ma, come in La Recita di Angelopoulos, i salti temporali non sono mai esplicitati e scorrono fluidamente in parallelo con la presente voce dialogante che rende apparente quel che la ricostruzione storica non mostra: l'assenza del padre. Una città di donne, bambini, gente comune, in cui i soldati sono solo una presenza sfuggente. Impegnati lontano da casa (in Palestina), appaiono in città solo per farsi una foto, unico mezzo di testimonianza della loro effettiva esistenza, prima che giungesse la romantica macchina da presa di Malas a ridare spessore, anche partendo dalla loro assenza, a queste vite dimenticate. Un film impregnato dello spirito rivoluzionario del '36, lo stesso rivendicato a gran voce a un certo punto da una brigata di bambine della stessa generazione del regista.

La lirica voce di La notte si tramuta in turpiloquio nel satirico Stars in Broad Daylight: belluini grugniti, chiassose russate, stonati canti. La Siria di Assad è popolata da assonnate bestie che sguazzano nel letame e nella melma e assalgono le loro prede, le donne. È il sonnambulismo della ragione di un Paese che ha accantonato ogni progetto rivoluzionario per chiudersi in un familismo amorale e un gangsterismo di provincia.

Come Il Padrino, si apre con un matrimonio, chiaramente combinato in un microcosmo che si ricicla attraverso credenze millenarie e scambi di favore. Ma questo patetico clan proto-mafioso minaccia non con pistole ma con anatemi divini e il loro linguaggio in codice è composto perlopiù da proverbi popolari e modi di dire (compreso quello che dà il titolo al film, “Per Dio, le tue stelle sono le stelle del pomeriggio”).

Le figure femminili appaiono a margine, come selvaggina da travolgere e sbranare, ma i loro brevi momenti di solitudine costituiscono le uniche brecce da cui poter immaginare un'altra vita possibile, un'altra Siria.