Il giorno è arrivato. Torna in sala La febbre dell’oro di Charlie Chaplin, e si avvicina l’occasione per festeggiare i 100 anni dalla nascita del personaggio di Charlot. Per onorare il momento, traiamo dalla bella antologia critica presente sul sito di Cinema Ritrovato al Cinema le parole che Brecht scrisse a proposito del film (dimostrando di comprendere l’unicità di Chaplin), da Alcune considerazioni su problemi e natura del film (1926), “Cinema Nuovo”, n. 222, marzo-aprile 1973. A seguire:”Ho visto piuttosto tardi La febbre dell’oro di Chaplin, tanto detesto e trovo poco artistica la musica suonata nella sala di proiezione. Ma il profondo sconforto che sembra essersi abbattuto su tutta la gente di teatro che conosco, mi ha infine spinto a vederlo. Questo sconforto, a mio avviso, è giustificato.
Non condivido il punto di vista secondo cui ciò che è stato fatto in questo film non potrebbe essere realizzato oggi in teatro perché il teatro non ne sarebbe capace. Credo che non sarebbe realizzabile altrove, né a teatro, né in uno spettacolo di varietà e nemmeno in un film, senza Charlie Chaplin. Questo artista è un documento che agisce da oggi con la forza degli avvenimenti storici. Ma quanto al contenuto, ciò che è realizzato ne La febbre dell’oro sarebbe insufficiente per qualsiasi scena o pubblico. Vi è naturalmente un certo fascino nel constatare che in arti così esordienti come il cinema, la gioia di alcune esperienze personali non sia stata ancora sopraffatta da una drammaturgia che ha tutta l’esperienza di una vecchia puttana. Quando Big Jim, in preda all’amnesia, non trova più la sua miniera d’oro e incontra Charlot, l’unico che possa indicargli dove essa si trovi, e tutti e due si incrociano senza vedersi, c’è una scena che a teatro farebbe immediatamente svanire nel pubblico ogni fiducia nella capacità dell’autore a condurre rigorosamente l’azione e a dare una chiusa alla sua storia.
Il film non ha responsabilità; non ha bisogno di prendersi eccessive preoccupazioni. Se la drammaturgia è rimasta così rudimentale, è perché il film non è altro che una bobina di qualche chilometro di celluloide in una scatola di metallo. Quando un uomo piega una sega tra le sue ginocchia, nessuno si aspetta che suoni una fuga.
Certo, il cinema oggi non rappresenta più problemi tecnici. Possiede abbastanza tecnica perché non ci se ne renda più conto. Piuttosto è il teatro che presenta oggi problemi tecnici. Le possibilità del cinema dipendono dalla sua capacità di mettere insieme documenti, di lasciare la porta aperta ad ogni possibile filosofia , di dare illustrazioni della vita, per tutta la durata dell’oscuro destino di un rappresentante del fantastico – che un tempo interessava – (di quel fantastico che ha dovuto soccombere all’aristocratica misura con cui lo scolaro medio immagina Giulio Cesare che attraversa a nuoto il Tevere), di un noto cantante la cui esibizione vi procura il desiderio di sentirlo cantare su una scena”.