Il 23 marzo 1922 nasceva a Cremona Ugo Tognazzi. E in queste ore viene riproposto Todo Modo di Elio Petri (restaurato da Cineteca di Bologna e Museo Nazionale del Cinema di Torino). La doppia occasione serve da spunto per ricordare quella che è stata la breve vita della rubrica di critica cinematografica seguita da Petri sulla rivista Nuova Cucina, di cui Tognazzi diviene il direttore nel 1980.

Sei sono gli articoli scritti dal regista, un po’ per gioco e un po’ per cimentarsi in una lettura originale di altrettante pellicole in cui il cibo, l’atto del nutrirsi, assume un ruolo fondamentale nella lettura della trama, anche quando i banchetti sono scarni ed è l’assenza della componente alimentare  che va chiarita e analizzata, come in Apocalypse Now dove “forse nessuno mangia perché si stanno già mangiando Kurtz”.

In principio la rubrica viene intitolata Cinefagia, successivamente è il più esplicito e meno pretenzioso Il cinema nel piatto a rassicurare i lettori di una rivista il cui scopo è pur sempre quello di approfondire la cultura culinaria di un paese e Petri, a modo suo, svolge egregiamente questo ruolo. Tognazzi e Petri, in passato, avevano già lavorato insieme ne La proprietà non è più un furto, film uscito lo stesso anno de La grande abbuffata, in entrambi i casi Tognazzi dimostra dimestichezza con i fornelli, passione che culminerà nella pubblicazione de L’abbuffone e Afrodite in cucina in cui vengono raccolte le ricette di casa Tognazzi. Uccellini dal becco gentile con polenta, Cosciotto di cinghiale alla Ugo e il Risotto alla salsiccia di castrato sono solo alcuni dei piatti presenti in questi “manuali” di cucina, esagerata e ipercalorica, che oggi farebbe inorridire anche un carnivoro, specie tendenzialmente in via d’estinzione…Tognazzi non me ne voglia.

Tornando a Cinefagia, le recensioni di Petri non sono accompagnate dalla classica valutazione stellata ma da un piatto, capovolto segnala le pellicole non “gastronomiche”, rotto se il film è “indigesto”, un solo piatto significa che è “insipido”, fino ad arrivare alla votazione massima in cui vengono raffigurati tre piatti sopra i quali troneggia un cappello da cuoco. Purtroppo questi giudizi vengono dati solo in tre casi: Apocalypse Now e il Don Giovanni di Losey sono stati valutati come film “non gastronomici”, decisione lungamente argomentata nell’articolo; mentre Ogro di Pontecorvo, si differenzia dai primi perché “gradevole” (due piatti). La valutazione riguarda esclusivamente l’approccio culinario dei registi, in modo particolare il ruolo dato al cibo consumato, in Ogro “il mangiare diviene rito politico”, i protagonisti siedono a un tavolo per parlare “delle ragioni politiche e militari dello stare assieme”.

Un altro aspetto importante è il valore metaforico che assumono gli alimenti, come la bistecca divenuta “simbolo dell’apocalisse” e del sogno americano nel finale di Apocalypse Now; la “bistecca-patria: tutto quello che è andato a naufragare, durante e dopo il Viet-Nam, nello spreco, nel massacro, nella follia, nella gastroastenia”. Petri, quando viene a mancare la valenza simbolica data, quasi per tradizione, a certi alimenti nella cultura, in questo caso operistica e in un secondo momento cinematografica, rimane stupito se nel Don Giovanni (ovvero il bollito alla Dioniso), contrariamente a quello di Mozart in cui hanno grande importanza i sapori e il profumo dei vini, qui “si beve un sorso di vino dopo ben quaranta minuti”. Il regista si interroga se la scelta di Losey voglia dimostrare quanto a noi sia “ormai precluso, nell’epoca della tecnica senza filosofia, di godere della lievità di Mozart se non provando altro che dura ed impotente disperazione”.

In un articolo dal titolo Ex affamati sazii sulla terrazza, leggiamo de La terrazza di Scola, Petri spiega che “se in Italia la fame non sussiste più come problema collettivo, non si può più ridere e piangere sugli affamati. Al posto della fame sembra essersi installato nella gente un sentimento di sazietà. (…) La loro cena è un simulacro. È fatta per spiare la propria decadenza, in quella altrui, o per celebrare il successo”.

Con La città delle donne il tema gastronomico fa il suo ingresso nel mondo dell’inconscio, il cibo pur essendo ben evidenziato nelle inquadrature non si mangia, nei sogni infatti non si mangia mai, “la componente cibo, offertaci nel sonno dal vissuto della veglia, viene filtrata, travestita e mistificata dai contenuti sessuali del sogno in corso”.

Per concludere, l’ultimo intervento di Petri su Nuova Cucina, datato 9 luglio 1980, affronta il pluripremiato Kramer contro Kramer, qui “padre e figlio mangiano davanti a squallide tavole che ricordano la mensa della Rai-tv, (…) abbiamo contato in tutto tre petits déjeuners, a base di latte freddo e sussidiarii del pane, (…) tristi riti senza Johanna; riti completamente edipici, poiché Johanna svolgeva anche per suo marito il ruolo di madre, Due tristi edipi orfani di Giocasta”. L’articolo, come in ogni rivista di cucina che si rispetti, si conclude con il suggerire ai lettori una ricetta, in questo caso la stessa realizzata da Dustin Hoffman nel film, il toast alla francese: “si sbattano delle uova, chiara compresa, una a persona; si mischino col latte; vi si bagnino delle fette di pane; quest’ultimo verrà cotto nel burro, in padella. Per i tempi di cottura: scrivere a Tognazzi. Chiedergli anche se ha pianto a Kramer contro Kramer. Se sì: dirgli che si vergogni; è un semplicione, come il sottoscritto”.

Cecilia Cristiani