“Mario Soldati, uno scrittore a Cinecittà”, così titola l’omaggio dedicato in questa edizione al cinema italiano. I sette lungometraggi (e due cortometraggi) che andranno a comporre l’intera sezione sono inaugurati da Dora Nelson, datato 1939, primo film in cui Soldati ebbe totale libertà, “dopo tanti anni di sceneggiature e mezze regie”. Dora Nelson (Assia Noris) diva del cinema e nobile decaduta, dopo un’accesa lite col regista abbandona il set del film “Cuore Infranto”. Per sostituire Dora viene scelta Pierina,  giovane donna proveniente dal popolo, che le somiglia come una goccia d’acqua ed è perfettamente in grado di imitarne l’accento snob e sostenuto. Il comportamento scontroso di Dora nei confronti di chiunque non appartenga alla sua stessa classe sociale è pretestuoso: le discussioni che mette in scena, prima sul set  e poi con il marito Giovanni (Carlo Nicchi), sono utili per poter raggiungere l’amante, sedicente principe, in esilio e in attesa di rivalsa. La sua fuga dal tetto coniugale potrebbe però impedire il matrimonio di Renata, figlia di Giovanni, il quale decide di far recitare a Pierina la parte di Dora anche nella vita reale, per convincere i futuri consuoceri ad acconsentire all’unione, nonostante le inadempienze della moglie.

Sin dalle primissime battute la componente meta-cinematografica prende il sopravvento: Soldati oltre a mostrare l’artificio del set, fa si che la narrazione filmica di Dora Nelson e quella del film nel film s’intreccino, secondo un gioco di specchi in cui i personaggi interpretati da Dora sono nobili principesse, proprio come la stessa Dora è una presuntuosa e antipatica donna dal sangue blu, similmente ad Assia Noris, diva del periodo fascista che rivendicava le proprie radici nobiliari, famosa per essere antipatica e intrattabile. D’altronde il gioco con il cinema ritorna più volte nell’opera di Soldati e non solo in quella cinematografica, pensiamo ad esempio al saggio 24 ore in uno studio cinematografico del 1935, scritto sotto lo pseudonimo di Franco Pallavera.

La rappresentazione della diva trasmette il grande amore che Mario Soldati provava per i suoi personaggi e qui la sensazione è doppia: la bellezza e lo charme di Dora non sono in nessun modo deturpati dal suo cattivo carattere, al contrario si percepisce la fascinazione che il regista prova per “la donna cattiva che tanto attrae gli uomini”; poi arriva Pierina, meritevole della medesima, grande bellezza della diva e in grado di comportarsi esattamente come lei, ma d’indole buona, semplice, capace di un amore sincero e disinteressato che l’avvicinano alla perfezione. Proprio come Giovanni, Soldati sembra in principio amare incondizionatamente la diva, perdonarle i modi sgradevoli in favore della sua bellezza magnetica, per poi cambiar rotta e volgere le proprie attenzioni di regista sull’altrettanto bella e più completa Pierina.

Un film “dal tono inconfondibilmente lubitschiano”, per utilizzare un’espressione di Guido Fink, una commedia dagli echi pirandelliani, priva di punti deboli o momenti di pausa, figlia di una perfetta gestione dei tempi comici e di ottime interpretazioni non solo da parte dei personaggi principali, ma anche e soprattutto di quei caratteristi che Mario Soldati tanto amava.

Stefano Careddu