Di passaggio a Bologna al XXVII Festival del Cinema Ritrovato, Mario Dondero assiste in sala Mastroianni alla proiezione di Avoir vingt ans dans les Aurès (1971) di René Vautier.

Chi scrive ha dialogato con lui a proposito del film e del rapporto tra Cinema e Fotografia.

«Anni fa, durante il Festival dei Tre Continenti di Nantes, avevo avuto l’occasione di sfiorare il regista Vautier, una celebrità clandestina che ho sempre stimato molto, ma non avevo mai visto questa sua opera. Finalmente sono riuscito a recuperarla qui a Bologna. Avoir vingt ans dans les Aurès è un reportage di guerra su una piccola unità di combattenti francesi durante la guerra in Algeria. Tra i personaggi principali ci sono il tenente Perrin, magistralmente interpretato da Philippe Léotard e capace di feroci crudeltà, in opposizione al giovane soldato che esita a sparare e che arriva a sacrificare la vita per far scappare un prigioniero algerino. Credo che quest’ultimo personaggio sia proprio l’emblema del miglior pacifismo veicolato dal miglior cinema, al pari de La grande illusione di Renoir e di Orizzonti di gloria di Kubrick. La guerra infatti va raccontata esattamente così: nel bene e nel male, mostrandone le nefandezze e le bontà. D’altronde, io sono stato partigiano alla giovanissima età di 16 anni, in Val d’Ossola, e film di questo tipo mi emozionano nel profondo».

 Un fotografo che parla di cinema. Quali sono i collegamenti fra le due arti?

«Io penso che un fotografo si ritrovi ad appassionarsi di cinema solo se è spinto dal desiderio innato di osservare la realtà che lo circonda, di documentare la vita, imprimerla, fermarla, riprodurla. Serve talento ma soprattutto un dono preciso, quello della narrazione. Che io mi sia ritrovato per caso sul set di Zurlini durante i giorni di lavorazione di Le soldatesse [1965, N.d.R.] o che io abbia intenzionalmente seguito Gino Strada e fotografato gli ospedali di Emergency in Afghanistan… Non vedo differenze tra le esperienze. Sono tutte occasione di aprire gli occhi sul mondo, e di narrare la vita attraverso le immagini».

Mario Dondero è ora atteso ad Avellino, dove riceverà il Flauto d’argento alla carriera.

Alberto Spadafora