Non bastassero i libri presentati qui al Cinema Ritrovato, e i libri presenti alla grande Book Fair allestita dentro la Biblioteca Renzo Renzi, qui a Bologna si aggirano anche autori che stanno ultimando le bozze dei loro prossimi volumi. Uno di loro, Peter Wyeth, è autore di un volume dal titolo The Matter of Vision: Affective Neurobiology & Cinema , che uscirà per Indiana University Press a ottobre di quest’anno. Si tratta di un volume molto coraggioso, innovativo e che farà a dir poco discutere la comunità accademica, non solo perché si getta a capofitto nel recente, suggestivo campo dei rapporti tra cinema e scienze neurologiche (si veda anche in Italia il bel volume di Adriano d’Aloja La vertigine e il volo. L’esperienza filmica fra estetica e neuroscienze), ma perché mette in radicale discussione i fondamenti stessi della film theory a cominciare dalla sua sostanza linguistica, analitica e logocentrica. Abbiamo rapidamente intervistato l’autore, che sarà a Bologna nuovamente tra ottobre e novembre per discutere in pubblico del volume…

Perché pensa che la teoria del cinema sia da riscrivere?
La dimensione linguistica del cinema, da Metz in poi, è stata largamente privilegiata. Eppure, tutte le scoperte scientifiche di ambito neurobiologico – compresi i celebri neuroni a specchio – invitano a rivolgere lo sguardo verso l’emisfero del cervello più legato all’attività visiva. Del resto la storia dell’umanità è legata in termini di tempo ben più alla visione che al linguaggio…
E il cinema?
Il cinema è un mezzo straordinario che ha permesso, nel Novecento, di tornare a usare certe aree del cervello. Tutte le nozioni di linguaggio, come i codici classici hollywoodiani, devono essere ripensati sulla base di una sorta di evoluzione naturale della cultura e della visione. Gran parte dell’importanza del cinema sulle nostre psicologie è legata all’attività di visione e di reazione neurobiologica. Anche la narrazione è subordinata a questo aspetto, come Hollywood ha capito benissimo.
Qual è la sua formazione?
Non è scientifica! Io sono “figlio” della rivista Screen anni Settanta, che può apparire forse più legata a schemi teorici post-strutturalisti, ma in verità mi ha spinto su terreni apparentemente eretici. Inoltre, penso che parlare di cinema ignorandone la pratica sia del tutto impossibile. So bene che le principali accuse che mi si muovono derivano dalla possibile applicazione errata della letteratura scientifica, ma se un umanista non cerca di trasportare elementi scientifici in un campo teorico come il nostro, rischia di non comprendere l’oggetto di studio. Il mio libro, appositamente, non è scritto con stile accademico ma comprensibile a tutti.
Se dovesse usare poche parole, dunque, come intenderebbe il ruolo del cinema?
(in inglese): Cinema extended, amplified, intensified brain functions!