Il proiettore degli anni Quaranta che campeggia dall’inizio del Festival in Piazzetta Pasolini, che nella sua imponenza genera quasi un po’ di soggezione, è tornato in azione ieri sera per Cœur fidèle. Il film fa parte della sezione dedicata a Marie Epstein, che in questo quarto lavoro del fratello Jean collabora come co-sceneggiatrice (non accreditata) e come attrice.
Il proiettore d’epoca ha i suoi ritmi, e lo spettacolo è scandito da una piccola interruzione per il cambio dei rulli. Il ronzio della pellicola che scorre tra le griffe diventa dopo pochi minuti un sottofondo rassicurante e familiare, tanto quanto l’accompagnamento al pianoforte di Gabriel Thibaudeau. La qualità dell’immagine è impeccabile, e ogni fotogramma brilla di una luce tremolante e leggermente argentata.
Pochi film avrebbero giovato di una tale proiezione più di Cœur fidèle, che trova nella cura nella costruzione del quadro e nella ricerca estetica sull’immagine i suoi obiettivi principali. Cœur fidèle è infatti ispirato dal progetto visionario di Jean Epstein di tradurre in immagini – immagini squisitamente cinematografiche, la cui natura effimera è costantemente rimarcata – le sue riflessioni sulla “fotogenia del movimento”. Il progetto è assai ambizioso, e si traduce in singole inquadrature di grande impatto e in una sperimentazione formale decisamente spinta: abbondano esposizioni multiple, effetti flou e deformazioni, a volte accompagnate da un montaggio serrato (come nella scena della giostra, una delle più memorabili del film).
Il tentativo di portare all’estremo le possibilità espressive del mezzo è evidente, ma non sempre è posto al servizio della narrazione. L’intreccio – una tormentata storia d’amore ambientata nel porto di Marsiglia – è anzi assai debole, e soffre di una caratterizzazione dei personaggi abbozzata ed eccessivamente manichea.
La vicenda è scandita da una quantità enorme di primi piani, che erano per Epstein l’elemento espressivo in cui meglio si incarnavano le qualità fotogeniche dell’immagine: il regista e teorico francese definiva il primo piano “paradossale, perché immobile e continuamente mutevole al tempo stesso”. Questa sua natura ambigua e instabile viene accentuata dalla sovraimpressione con le onde del mare, che animano il volto ispirato di Gina Manès. L’elemento acquatico, su cui Epstein ritorna in Finis Terrae (1929) e La Tempestaire (1947), è qui predominante, e porta Langlois a definire il film “il Quai des brumes degli anni Venti”: le onde del mare che si infrangono sugli scogli concedono in effetti aperture assai liriche, che però, oggi, fanno forse sorridere per la loro ingenuità.
Probabilmente Cœur fidèle non è un film completamente riuscito, e fin dalla sua prima apparizione nel 1923 destò reazioni contrastanti, a metà tra entusiasmo e scetticismo. Il film è però un tentativo radicale e a suo modo commovente di portare fino un fondo un progetto geniale, visionario e probabilmente utopistico.
Maria Sole Colombo