La sezione dedicata agli anni della gestione Carl Laemmle Junior della Universal si è aperta con una doppietta di film di William Wyler poco conosciuti: A House Divided e The Good Fairy, rispettivamente un dramma del 1931 e una commedia del 1935. A House Divided è un dramma familiare costruito attorno alla presenza scenica intensa e durissima di Walter Huston, che interpreta Seth Law, un padre padrone appena rimasto vedovo, incapace di venire a patti con emozioni e debolezze. L’ambientazione è una comunità di pescatori malconci in cui le donne sono necessarie ma previste esclusivamente per provvedere ai pasti, rammendare reti, salare il pesce. Il funerale che apre il film imposta l’atmosfera cupa e la chiusura totale delle speranze di fuga di Matt, il figlio fuori posto, opposto in tutto rispetto al padre: mite e gentile, aspirante contadino in una famiglia di pescatori da generazioni. In cerca di una nuova moglie, o meglio serva, per corrispondenza, Seth si ritrova un’ingenua diciannovenne del Montana palesemente più adatta al figlio che a lui: la sposa davanti a tutto il villaggio, innescando l’acuirsi del conflitto con il figlio, che degenera rapidamente. La corrispondenza tra la successiva menomazione fisica di Seth e la perdita della prestanza, e dunque dell’autorità, è evidenziata dalla scena in cui con la sedia a rotelle è impegnato in lavori sulla terraferma che aveva precedentemente deriso. Tuttavia molte scene successive sono dedicate all’inarrestabile forza dell’uomo, che non si rassegna all’immobilità, né quando deve infuriarsi e lottare col figlio, né quando è il momento di salvare la sposa in pericolo. Come scrive Dave Kehr, curatore della sezione, “Huston sembra trasformarsi fisicamente, da presenza incombente a creatura strisciante”, in ogni caso minaccioso perno del dramma familiare, che può risolversi solo in una tragedia risolutrice.

A risollevare gli animi ci pensa The Good Fairy, tratta da una pièce di Ferenc Molnàr, in una sceneggiatura adattata tra gli altri da Preston Sturges. Sorprendente screwball ambientata a Budapest (location che sembra servire soprattutto all’uso di cognomi strambi da ridicolizzare), il film si distingue per un’incredibile vivacità di dialoghi e varietà di caratterizzazioni. L’orfana interpretata da Margaret Sullavan si ritrova al centro di un’inedita variazione dell’intreccio di attenzioni maschili: lo scoppiettante inizio porta Luisa fuori nel mondo per la prima volta, mondo in cui, fedele agli insegnamenti della direttrice, deve compiere almeno una buona azione ogni giorno e guardarsi dagli uomini. Luisa si sogna e si definisce fatina buona, e un perfetto ma complicato meccanismo di scelte e casualità la porta a poter davvero fare la differenza nella vita di un uomo, approfittando della convergenza tra l’interessata generosità di un eccentrico riccone e una serie di equivoci innescati da una bugia a fin di bene.

Incredibile la vivacità dei dialoghi e la varietà delle caratterizzazioni: dall’esercente cinematografico chiacchierone dell’inizio, all’iperprotettivo Detlaff (Reginald Owen), che Luisa sceglie come amico senza l’ombra di reciproca malizia; fino a un Herbert Marshall incredibilmente divertente, anima gemella di Luisa per la condivisione di uno stesso sguardo sul mondo prima ancora che per attrazione (esilarante il suo entusiasmo per la cancelleria così come l’impopolare ode alla barba). Tra le tante invenzioni comiche citiamo il dialogo surreale del film nel film, che parodizza i drammoni sentimentali e che torna, uguale e contrario, nel lieto fine.

Chiara Checcaglini