Escala en la ciudad di Alberto De Zavalìa, film che ha inaugurato la sezione Un’altra storia del cinema argentino, era fino a poco tempo fa un’opera considerata irrimediabilmente perduta; è stata riscoperta da uno dei due curatori della sezione, il critico e storico del cinema Fernando Martin Pena, il quale ha dato sfoggio delle sue capacità di detective ritrovando una copia nascosta negli archivi degli eredi del regista, riscoprendo così un’opera importante per la storia del cinema argentino anche aldilà delle sue reali qualità oggettive. È un film che infatti rispetta alla perfezione l’idea su cui la sezione si basa: quella cioè di presentare, stando alle parole dette prima della proiezione dall’altro curatore – Edgardo Cozarinsky -, film “straordinari” non perché memorabili o capolavori sconosciuti, ma nel senso di “fuori dall’ordinario” rispetto alle poetiche e ai modi di concepire il cinema più diffusi nel cinema argentino, capaci di proporre nuove strade, anche a prescindere dalle loro qualità più oggettive.
Escala en la ciudad infatti ha portato un tono diverso in un cinema che a quel tempo – siamo nel 1935 – era caratterizzato perlopiù da farse grossolane e soprattutto da film dedicati al tango, portando qualche tocco di sophisticated comedy, una buona dose di melodramma e soprattutto suggestioni visive e stilistiche del coevo cinema statunitense (non mancano però atmosfere vicine al realismo poetico d’Oltralpe). Il film racconta due vicende ben distinte: nella prima un uomo e una donna, appena conosciuti, vengono invitati da una stravagante regista teatrale a sostituire la coppia d’attori protagonisti, dando così un originale sviluppo, tra realtà e finzione, alla nascita del loro amore. Nella seconda, un marinaio vaga tra i bar e le nebbie del porto alla ricerca di una ragazza, contemporaneamente però atteso da un’altra donna rimasta sulla nave.
Il fascino del film, nel complesso non eccelso, sta proprio , per citare ancora una volta le parole dei due curatori, “nell’evocazione di un’atmosfera di cinefilia cosmopolita”; questa si trova in particolare nell’uso della fotografia, si vedano i giochi tra luci ed ombre del porto e dei suoi polverosi locali, e delle ambientazioni – il set del teatro molto simile agli eleganti interni di molto cinema statunitense del tempo. Per questi motivi, il fascino di Escala en la ciudad rivisto oggi è quello , per dirla semplicemente, dell’opera di modernariato dall’attrattività un po’ vintage, più “simpatica” che davvero riuscita.
Edoardo Peretti