Quando comincia a lavorare a Falbalas, Becker ha già all’attivo due film polizieschi di discreto successo, Dernier Atout (1942) e Goupi Mains Rouges (1943). Le riprese di Falbalas vengono realizzate a Parigi in piena occupazione nazista, e la lavorazione si dimostra particolarmente difficoltosa e rocambolesca (il film fu girato interamente di notte, poiché i tedeschi permettevano l’uso di energia elettrica solo in quelle ore).
Falbalas uscirà nelle sale solo nel 1945, a guerra finita, eppure il film non sembra recare alcuna traccia della complessa situazione politica in cui è stato realizzato: ambientato nel patinato mondo dell’haut couture parigina, in cui la madre di Becker aveva lavorato per anni, il film non valica mai i confini di questo microcosmo alto-borghese e apparentemente frivolo. Così come la brillante sceneggiatura evita qualsiasi allusione politica, allo stesso modo i personaggi restano confinati nei lussuosi atelier di moda, e le scene in esterno si possono contare sulle dita di una mano.
In quest’atmosfera patinata ma a tratti claustrofobica si svolge l’intreccio di Falbalas, che poggia sul solido impianto narrativo del melodramma sentimentale: una giovane avvenente arriva in città prossima alle nozze, ma finisce per invaghirsi nientemeno che dello stilista incaricato di confezionare il suo abito da sposa. Incallito playboy, il couturier questa volta si innamora sul serio, e il film avanza in un’escalation di passione fino al tragico epilogo.
Accusato di fatuità e disimpegno, in Falbalas Becker applica al mondo sfavillante delle mannequin e delle sfilate lo stesso approccio entomologico che in Goupi Mains Rouges aveva dedicato alla Francia rurale. Come sempre nei lavori del cineasta francese, l’aspirazione principale è quella di costruire personaggi a tutto tondo, con cui lo spettatore può stabilire un rapporto di empatia: l’obiettivo è pienamente raggiunto nel caso dell’energica protagonista femminile (Micheline Presle), mentre risulta meno convincente la sua controparte maschile, un Raymond Rouleau wertheriano nell’esprimere passioni e sentimenti.
La messa in scena è piuttosto essenziale, ma nel complesso elegante. La macchina da presa volteggia in fluide carrellate, indugia sui numerosi specchi che rivestono le pareti dell’atelier e trova nei loro giochi di riflessi un’efficace pretesto per avviare una riflessione sulla fragilità del confine tra realtà e illusione: Rouleau si innamora infatti di una donna che esiste solo nella sua immaginazione, la plasma a suo piacere e infine muore abbracciato ad un manichino in cui crede di riconoscere l’amata. Un’efficace metafora della moda come strumento di reificazione della donna, che alla fine riesce però ad emanciparsi dal proprio pigmalione.
Falbalas è nel complesso un melodramma elegante, equilibrato e ben confezionato. È un prodotto classico del cinema francese sotto l’occupazione, che reca però nell’attenzione umana ai personaggi e nella delicatezza della messa in scena il tocco sicuro di Jacques Becker.
Maria Sole Colombo