Hou Hsiao-hsien è tra i cineasti orientali più apprezzati, figura centrale del Nuovo Cinema Taiwanese. Considerato il primo film della maturità, I ragazzi di Feng Kwei ci trasporta nella periferia, rendendoci testimoni del coming of age di tre ragazzi  decisi a fuggire dalla monotonia della provincia.Essere giovani è noia a Feng Kuei, paesino di pescatori sulla costa di Taiwan. Ah-Ching e i suoi amici trascorrono le loro giornate bighellonando tra una rissa e una birra, sempre in fuga dalle responsabilità e dai genitori. Deciso a cambiare vita prima della convocazione al servizio militare, il gruppo si trasferisce a Kaohsiung, dove Ah-Ching ha dei parenti. Con la grande città arriva l’amore, e i tre scoprono quanto sia difficile crescere.

Dove Edward Yang, altro grande nome della cinematografia taiwanese, è influenzato da Antonioni, il cinema di Hou Hsiao-Hsien sconta un esplicito debito al neorealismo. Le peripezie dei ragazzi sono filmate con discrezione, facendo il minimo uso di retorica e restituendo un trancio di narrazione crudo e verosimile, lontano dai toni elegiaci del cinema di intrattenimento. Uniche concessioni al rigorismo della pellicola sono le digressioni nei ricordi di Ah-Ching, che invadono lo schermo proiettandoci nell’intimo del protagonista. Capaci di rendere con eleganza il train of thought in cui Ching si perde, queste brevi parentesi sono elegantissime nel portarci a contatto con l’interiorità del protagonista con un tocco di poesia che non sfocia nel camp. L’America e il Giappone continuano ad incombere sulla narrazione come in Taipei Story di Yang, ma l’occhio di  Hsiao-hsien è troppo concentrato sui ragazzi per investirle di troppo peso.

Il Giappone rimane terra delle opportunità, non a caso Ah-Ching sceglie di imparare la sua lingua per garantirsi un futuro, mentre degli Stati uniti viene sottilmente sottolineato l’influenza nociva: il basetball è forza di disgregazione, con il padre del protagonista reso disabile da una battuta sfortunata. Non convenzionale per il registro della regia è la scelta della colonna sonora, che unisce al pop delle radio un commento extradiegetico di classica, capace di velare le avventure dei ragazzi di una bizzarra solennità. Abbiamo davanti un poema secco sulle difficoltà della crescita e il mutare dei rapporti, dove l’amicizia resiste al di là delle scelte di vita, le donne e le scazzottate.

Quella de I Ragazzi di Feng Kuei è un racconto di formazione che oscilla, sottilmente, tra l’universale e il particolare, con le vicende dei protagonisti che si tingono, proprio per la loro piccolezza, di un vago respiro globale.

Gregorio Zanacchi Nuti