Capolavoro del muto, Intolerance torna in sala in una copia da 198 minuti proveniente dal MoMa di New York. Impreziosito dall’accompagnamento di Donald Sosin e Neil Brand al piano, sostenuti dalle ritmiche frizzanti di Frank Bokius, la grande predica di Griffith torna a stupire ed emozionare.

Quattro storylines differenti si intrecciano intorno al tema dell’intolleranza, indicata come responsabile dei momenti più bassi della storia umana. A Babilonia ha luogo il grande scontro tra i sacerdoti di Ishtar e Baal,  a Gerusalemme i farisei discriminano Cristo, nella Francia rinascimentale scoppia la faida tra cattolici e ugonotti e, all’inizio del secolo scorso, un giovane è costretto a lottare contro il moralismo imperante della società. Alcuni vincono e altri perdono, mentre la Storia continua a vigilare sulla culla ondeggiante che custodisce il domani.

In seguito alle accuse di razzismo figlie di Nascita di una nazione, Griffith elabora la sua opera successiva come colossale discolpa, centrata sul denunciare i frutti di violenza e pregiudizio. Nel rendere il messaggio chiaro e impossibile da fraintendere, le innumerevoli didascalie sfiorano il didattismo pedante, e fa sorridere come la narrazione sia goffamente mescolata con aneddoti storici e informazioni sulle fonti della messa in scena. Nel disordine che regna tra i salti di una narrazione incostante, emerge il conflitto tra individuo e storia, incarnata dai sistemi di potere che regnano sulle varie epoche.

A Babilonia la lotta per l’indipendenza della Fanciulla dei Boschi è schiacciata da una guerra tra sacerdoti, Cristo è crocifisso dai farisei, l’amore tra Occhi Marroni e il suo pretendente si tinge di sangue nello sterminio degli ugonotti, e la vita del Ragazzo viene rovinata dal moralismo del suo tempo. Silenziosamente, le religioni sono additate come alleate del potere, pronte a seguirlo e giustificare i suoi capricci. L’unica fonte di redenzione proviene dal cristianesimo vero, quello nato dall’amore con cui il Cristo ha sacrificato sè stesso per la salvezza dell’Uomo; lo stesso amore che permette al Ragazzo di salvarsi e riabbracciare suo figlio.

Le differenze di minutaggio tra le varie parti, con quelle di Babilonia e del Ragazzo che oscurano le altre, riflettono un iter produttivo travagliato: la storia “contemporanea” fu pensata come indipendente, e Griffith integrò successivamente le altre; curiosamente, per recuperare l’insuccesso al botteghino, fu però la storia Babilonese ad essere estrapolata, rimontata (con tanto di finale ottimista), e ridistribuita sotto il nome di The Fall of Babylon.

Pellicola vulcanica che rimastica tutto il repertorio del muto, dal peplum al melodramma, restituendo una narrazione imponente quanto fragile, Intolerance rimane capace di colpire lo spettatore dopo più di cent’anni per ingenuità e potenza.

Gregorio Zanacchi Nuti