Avendo vissuto gran parte della mia vita in stretto contatto con la mia vecchia nonna, che proviene da una famiglia di contadini originari di Loiano, in provincia di Bologna, e che, fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, ha lavorato assiduamente con la sua famiglia nei campi, molte volte mi sono fatto raccontare i suoi aneddoti, particolari sulla sua vita di allora, come si viveva e si parlava, soprattutto in una realtà così piccola come quella del paesino di Loiano.
Non poche volte ho pensato che forse valeva la pena di trascrivere questi racconti ed aneddoti così da poterli tramandare, quasi come ultime testimonianze di una cultura ormai per lo più morta. Dove ho fallito io è riuscito Ermanno Olmi, che con il suo film L’albero degli zoccoli, vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes del 1978, racconta nel modo più realistico possibile, in uno stile quasi documentaristico, la vita di una piccola comunità di contadini all’interno di una cascina persa nel pieno della campagna bergamasca alla fine dell’800. Essendo la pellicola una vera e propria raccolta di aneddoti animati sullo schermo da veri contadini bergamaschi improvvisatisi attori, la trama è praticamente inesistente: l’avvenimento più importante, che dà il titolo al film, è più volte abbandonato e ripreso all’interno della pellicola, pur fungendo da suo prologo ed epilogo.
L’intero film è recitato in uno strettissimo dialetto bergamasco, tanto che, oltre ai sottotitoli in inglese, sono stati proiettati, durante tutta la durata della pellicola, anche i sottotitoli italiani. Qualcuno potrebbe trovare questa cosa fastidiosa, ma io no.

Infatti, ho sempre visto la parlata dialettale di una certa comunità di persone sia in Italia che in altre nazioni come uno dei fattori che più definiscono ed identificano la stessa comunità, collocandola in un certo modo nel tempo e nello spazio e testimoniando, attraverso tutte le identificabili influenze linguistiche, la sua storia. Sebbene molti trovano il dialetto come una lingua volgare e da “poveri” e come un recesso del passato, per me è una delle poche cose che oggi ci identificano in questo mondo globalizzato e senza confini. Questo lo ha capito anche Olmi, che ha fatto recitare le battute in dialetto come farà, anni più tardi, anche Giorgio Diritti con il suo L’uomo che verrà, altro stupendo film sulle realtà contadine di campagna. L’albero degli zoccoli è dunque un film nostalgico, atmosfera accentuata dalla caratteristica ed onnipresente nebbia padana, che cerca di ricreare col realismo più estremo una cultura ormai mangiata dalle città e dall’industria.

Una cultura ed un modo di vivere che era sì ignorante, ma puro e sincero, basato sul supporto reciproco, opposto invece all’ipocrisia malvagia e spietata ed al senso ingiustificato di superiorità del “colto” e “intelligente” padrone.

Pietro Luca Cassarino