Negli anni Trenta, prima di dirigere molti episodi della serie Our Gang (Simpatiche canaglie) e prima di specializzarsi in B-movies negli anni Cinquanta, Edward L. Cahn è alla regia di Laughter in Hell, film tratto dall’omonimo romanzo di Jim Tully e dimenticato fino al 2013. Film feroce e stilisticamente sfacciato, Laughter in Hell ruota intorno a un protagonista assassino, che per reazione alle derisioni da cui è ossessionato uccide la moglie e l’amante di lei, rivale di Barney Slaney (Pat O’Brien) e “bullo” fin dall’infanzia. Il lavoro di Barney come macchinista permette di rappresentare il pensiero ossessivo del tradimento con un montaggio di dissolvenze ritmato dalla locomotiva; anche la sequenza dell’omicidio si distingue dal resto per un montaggio straniante di primi piani, zoom e sguardi in macchina. La vendetta di Barney nei confronti di chi lo perseguita fin da ragazzino è solo uno dei temi del film, e forse il meno interessante: la parte centrale è infatti tutta focalizzata sui lavori forzati a cui è condannato, e dà modo al regista di modulare la rappresentazione di diversi gradi di brutalità e disperazione, concentrandosi sulla disumanità dei secondini e sull’accanimento nei confronti dei detenuti neri. I loro cori che accompagnano tutte le scene di prigionia sono la coscienza lugubre che ricorda agli aguzzini che non sono migliori dei criminali cui fanno la guardia.

Particolarmente agghiaccianti due sequenze: l’impiccagione di alcuni detenuti neri, in cui è più evidente l’attenzione per la composizione dell’immagine e la cura nell’utilizzo del suono fuori campo; la rivolta e fuga dei detenuti tragicamente sedata a colpi di fucile. Quest’ultima è ambientata in un cimitero dove i detenuti sono costretti a scavare le fosse per seppellire i morti di un’epidemia di febbre gialla: simbologia semplice ma efficace, che rimane il punto più alto del film. Nell’ultima parte una buona dose di fortuna permette a Barney Slaney di incontrare alcune persone che decidono di aiutarlo (significativo il racconto del vecchio che durante la guerra ha preso pallottole sia dagli yankee che dai sudisti), fino a un’ultima scena così speranzosa e sbrigativa che “suggerisce che il finale […] almeno nelle intenzioni di Tully, era troppo disperato persino per Laemmle” (Dave Kehr).

Chiara Checcaglini