La regia di Montparnasse 19 doveva inizialmente essere affidata a Ophüls, che sperava di rifarsi del fiasco al botteghino di Lola Montès con un biopic sull’ultimo anno di vita di Modigliani. Poco prima dell’inizio delle riprese il cineasta tedesco si ammala gravemente, e dopo alcune titubanze Becker accetta di sostituirlo, con l’unica condizione di poter rimaneggiare completamente il copione. I numerosi tagli (la scena del suicidio della moglie di Modigliani, le sequenze sulla prima guerra mondiale) generano non pochi contrasti con lo sceneggiatore Jeanson, che vede i suoi dialoghi verbosi e un po’ letterari asciugarsi fino all’osso.

Becker adatta il progetto alla sua sensibilità personale, e trasforma la biografia del pittore in un dramma asciutto ed essenziale, che tralascia ogni altro aspetto per concentrarsi sulle difficoltà di Modigliani, psicologiche quanto economiche: la mancanza continua di denaro, l’alcolismo, gli amori – sinceri ma mai sufficienti a rasserenare l’animo inquieto del pittore.

Becker sembra interessarsi soprattutto processo creativo di Modigliani, mentre non indugia quasi mai sul risultato finale: i quadri del pittore vengono mostrati poco e male (per poter vedere la prima tela dobbiamo aspettare almeno un’ora di film), mentre l’artista è continuamente ritratto mentre lavora nel suo appartamento o nei café.

Becker dà vita ad un ritratto accorato e empatico dello sfortunato pittore, interpretato da un Gérard Philipe che incarna più che mai il mito dell’eroe romantico e dell’artista incompreso: il suo lento scivolare nella malattia, fino alla morte prematura, sono raccontati infatti con estrema efficacia. Il finale costituisce un vero e proprio climax emotivo, e suscita nello spettatore un senso di profonda rabbia e malinconia: Lino Ventura, che interpreta magistralmente uno spietato commerciante d’arte, è infatti l’unico ad assistere alla morte del pittore, per poi approfittarsene per comprare i suoi quadri ad un prezzo infimo.

Se in questa sequenza Becker muove una critica feroce ai mercanti d’arte e al loro opportunismo, altrettanto spietato è il giudizio sui collezionisti: quando Modigliani si reca nella camera d’albergo di un miliardario americano per mostrargli le sue tele, si scontra con un ambiente frivolo, che riduce l’arte ad un’occasione per ostentare la propria ricchezza. Becker non perde insomma l’occasione per rimarcare l’ipocrisia e la superficialità del ceto alto borghese che, sebbene con toni più leggeri, aveva già denunciato in Édouard et Caroline e in Falbalas.

Nel complesso Becker riesce a realizzare un film intenso ed efficace, pessimista ma profondamente onesto, che rifiuta i toni trionfalistici anche nel raccontare il successo postumo di Modigliani. Un unico rimpianto: la Montparnasse messa in scena da Becker sembra avvicinarsi più all’idillio impressionista di Casco d’oro che alla Parigi di metà anni 10, culla del cubismo e delle avanguardie storiche: il film, forse, non riesce fino in fondo a trasporre cinematograficamente la modernità della pittura di Modigliani.

Maria Sole Colombo