Oltre che attrice, sceneggiatrice e restauratrice, Marie Epstein è stata anche regista di alcuni film, co-diretti con Jean Benoît-Lévy in un fortunato sodalizio cominciato nel 1928. Peau de pêche è il primo frutto di questa collaborazione, e dimostra fin da subito lo spiccato interesse della coppia per il tema dell’infanzia, trattato anche in La Maternelle (1933) e La mort du cygne (1937). Peau de pêche è infatti la scanzonata favola di formazione di un monello di Montmartre che, dopo svariate peripezie, si trasferisce nella campagna francese dove impara il senso del dovere e della responsabilità. Dieci anni più tardi, ormai cresciuto, riesce a conquistare l’amata grazie all’intervento di una vera e propria “fata madrina” – una nobildonna benefattrice conosciuta negli anni dell’infanzia.

La prima parte del film poggia quasi esclusivamente sulla frizzante interpretazione di Jimmy Gaillard, attore-bambino sulla cresta dell’onda negli anni Trenta che intrattiene abilmente con faccette, imitazioni e gag da slapstick. Al variare dell’ambientazione anche i toni mutano, e l’impianto puramente favolistico lascia spazio a tematiche di ordine sociale – la guerra, il lavoro nei campi e le carestie. Più che all’analisi sociologica, Epstein e Benoît-Lévy sembrano interessati alle ricadute morali ed emotive di queste problematiche, che sono sempre affrontate da un punto di vista intimo e soggettivo: lo spaccato sociale della comunità di campagna assume così i connotati di un affettuoso ritratto di famiglia, venato qua e là di componenti macchiettistiche

In Peau de pêche è inoltre ravvisabile la volontà di adottare alcune soluzioni linguistiche elaborate nella recente esperienza delle avanguardie: è soprattutto il montaggio a farsi carico di quest’ambizione, come nella scena in cui l’ascolto della radio – una vera scoperta per una piccola comunità contadina – viene visivamente tradotto in una serie di brevi inquadrature di vita metropolitana riprese da angolazioni insolite.

Le sperimentazioni linguistiche, ansiose di rifarsi in maniera forse fin troppo letterale al modello di riferimento, non riescono mai a convincere del tutto. Nel complesso, Peau de pêche merita piuttosto per l’accorato affresco di un mondo contadino che non esiste più, ritratto con affetto sincero.

Maria Sole Colombo