Mario Soldati è considerato uno degli autori di punta del cosiddetto cinema calligrafico, quel filone di adattamenti ottocenteschi in cui esordiranno tra gli altri Alberto Lattuada (qui tra gli sceneggiatori) e Renato Castellani (oggetto della retrospettiva dello scorso Cinema Ritrovato). Piccolo mondo antico (1941), film che apre la sua trilogia fogazzariana (seguiranno Malombra e Daniele Cortis), è da più parti definito il più calligrafico tra i film di Soldati.

A far da sfondo alle vicende è il piccolo borgo di Valsolda sul lago di Como. L’anziana e dispotica marchesa Orsola Maironi (Ada Dondini) ha tutta l’intenzione di combinare le nozze del nipote Franco (Massimo Serato) con la signorina Tarabelli. L’uomo però sposerà Luisa (Alida Valli) contravvenendo alle minacce della nonna che lo estrometterà dall’eredità, non perdendo occasione per osteggiarlo. Dall’amore tra i due nascerà la piccola Ombretta, ma il quadro storico e i problemi economici condurranno a sviluppi drammatici.

Il contesto di una Lombardia pre – risorgimentale diviene pretesto per una “operazione di sotterranea opposizione al fascismo, tanto che gli autori e la troupe, Soldati in testa, erano sorvegliati dalla polizia, la quale temeva che approfittassero delle riprese sul lago di Lugano per scappare in Svizzera. In pieno asse Roma-Berlino, Soldati sceglie provocatoriamente di raccontare la lotta anti-austriaca; contromano rispetto alle politiche culturali del regime, colora il film con le sonorità del dialetto lombardo”.

Alida Valli è il reale cuore pulsante della narrazione, merito della costruzione di un personaggio che, nonostante la fedeltà della trasposizione rispetto al romanzo di Fogazzaro, viene modellato al servizio della messa in scena cinematografica, ma anche e soprattutto di un’interpretazione intensa e profonda che dice già molto della grande diva futura. Nonostante ciò, il film è costellato anche dalla folta presenza di buffi personaggi che assolvono la funzione di smorzare toni altrimenti troppo drammatici, scelta stilistica che fa il paio con l’utilizzo delle espressioni dialettali e ribadisce una volta di più l’importanza ricoperta dagli attori secondari nel cinema dell’autore torinese.

Il film sfrutta il bellissimo e caratteristico paesaggio lacustre con maestria, un paesaggio “finalmente rispondente all’umanità dei personaggi sia come elemento emotivo che come indicatore dei loro sentimenti” (G. De Santis – Per un paesaggio italiano) e dimostra un grande impianto figurativo grazie alla sapiente riproposizione della pittura italiana ottocentesca proprio nei luoghi che ispirarono tali dipinti.

Stefano Careddu