La scelta del prestigioso premio della FIAF, la Fédération Internationale des Archives du Film, che quest’anno riunisce centinaia di delegati proprio a Bologna, è ricaduta su due ospiti d’eccezione del Cinema Ritrovato: Jean-Pierre e Luc Dardenne. Figure di spicco del cinema belga e della cinematografia francofona contemporanea, i due registi hanno ricevuto la splendida bobina d’argento dalle mani del direttore dell’Istituto Lumière Thierry Frémaux e del direttore della Cineteca di Bologna Gian Luca Farinelli. Il riconoscimento celebra e nobilita l’impegno e l’interesse che i cineasti hanno riservato alla preservazione del patrimonio cinematografico, concetto base e anima della Federazione quanto del festival. Quale dunque occasione migliore per i due fratelli di presentare uno dei loro film più rappresentativi, La Promesse (1996), al ventesimo anniversario della sua presentazione a Cannes, in una versione restaurata in 4K dalla Cinémathèque Royale de Belgique (in collaborazione con Les Films de Fleuve e il supporto di Belspo e Fonds Baillet Latour) a partire dal negativo originale.

Ambientato nei sobborghi della provincia di Liegi, il film racconta il giro di sfruttamento, economico e non solo, ai danni di immigrati clandestini all’interno di un condominio fatiscente da parte di Roger e suo figlio adolescente Igor. L’uomo si occupa infatti dell’affitto degli squallidi appartamenti del palazzo e obbliga il gruppo di disgraziati che vi abita a lavorare in una sedicente impresa edile, senza assicurazione. Uno di loro, Hamidou, precipita da un’impalcatura in un tentativo di fuga dagli ispettori del cantiere, ma prima di morire l’uomo riesce a strappare ad Igor la promessa di vegliare sulla moglie Assida e il loro bambino.

Detentori di uno stile d’intenso realismo, con tendenze documentaristiche, i Dardenne si schierano dalla parte delle classi più umili, dagli operai, agli immigrati, alle minoranze, raccontandone senza censure la vita fatta di espedienti. Sospendendo i giudizi morali, ma allo stesso tempo ammettendo le debolezze e i vizi dei personaggi, i registi si fanno portatori di uno sguardo intimo, penetrante e partecipativo alle loro vicende, senza però scadere nel melodrammatico. Mantenendo viva e lucida l’attenzione del pubblico, al quale non viene mai presentata una figura totalmente innocente o esente dalla corruzione, si resta fedelmente ancorati alla mutevole ed ambigua natura dell’essere umano. Lo stesso Igor, quindicenne apparentemente distaccato, collabora inizialmente alle macchinazioni illegali del padre ma al cospetto della morte e delle conseguenze che ciò comporta (Assida è una donna sola in un paese sconosciuto, senza un lavoro, con un neonato da mantenere) sceglie di schierarsi dalla parte di ciò che ritiene giusto, opponendosi alla visione spietata e avida a cui è sempre stato abituato.

Difficile comprendere appieno se parlare di denuncia sociale vera e propria o semplicemente di interesse nel ritrarre l’esistenza degli emarginati; quel che è certo è che i Dardenne dipingono efficacemente drammi collettivi intersecati a dilemmi etici individuali, dove il finale aperto è la migliore conclusione per un film spoglio di virtuosismi, che non sembra avere tra i propri obiettivi quello di aiutare lo spettatore a trovare delle risposte certe.

Denise Penna