Diciamo subito che Shooting Stars di Anthony Asquith e A.V. Brandle si chiude con un finale splendido ed emozionante, struggente senza cadere nella trappola del sentimentalismo e che si tiene lontano da un lieto fine che sarebbe risultato posticcio; è una chiusa rafforzata dall’utilizzo della profondità di campo e dei giochi di luce ed ombra, e che in un certo senso riassume le qualità, stilistiche e narrative, migliori del film. Qualità che permettono all’esordio alla regia di Asquith di spiccare come uno dei primi film davvero e consapevolmente dedicato alla rappresentazione, con luci ed ombre, del mondo del cinema e del suo dietro le quinte, raccontati con lucida ironia non priva di un certo affetto di fondo. Del resto, il finale si svolge sul set ormai vuoto al termine una giornata di riprese, mentre l’inizio descrive il set caotico e stracolmo di gente, macchinari ed oggetti di scena, in quello che diventa così una sorta di svolgimento circolare della narrazione. In questo modo la vicenda della star divisa tra l’amore per il marito, anche lui divo della settima arte, e l’attrazione per un famoso comico slapstick (dai chiari riferimenti a Charlie Chaplin) assume connotazioni chiaramente meta-cinematografiche, anche perché le caratteristiche dei “generi” – dalla slapstick al melodramma – invadono la realtà delle vicende raccontate, e i protagonisti assumono spesso gli stessi comportamenti dei personaggi che interpretano; estremamente significativo da questo punto di vista è il pre-finale – che si svolge ancora una volta sul set -, quando la vicenda trova il suo definitivo compimento nella tragedia e nella mancata salvezza e redenzione della diva protagonista, confermata poi dalla splendida chiusa di cui sopra. Da questo aspetto nasce uno degli elementi di forza del film: la commistione di generi e toni diversi, non così frequente all’epoca e resa in modo scorrevole e convincente.

Shooting Stars è un dramma dalle venature slapstick e non privo di riferimenti ironici e di costume, con momenti quasi d’azione e una forte dose di mélo, il tutto ben amalgamato. A livello tecnico e stilistico, Asquith (anche sceneggiatore) e Brandle danno sfoggio di notevole maestria e padronanza del mezzo, dando alle scelte stilistiche un deciso valore significante; si vedano per esempio l’elegante e soave panoramica che introduce il set, la profondità di campo che congeda, l’uso dell’intero spazio dell’inquadratura e soprattutto l’utilizzo degli zoom in momenti significativi, tra i quali spicca il doppio zoom contrastante – in avvicinamento verso il protagonista maschile e in allontanamento da quello femminile – nel decisivo e tragico pre-finale. Shooting stars, restaurato dal British Film Institute, diede per questi ed altri motivi una spinta importante allo sviluppo del cinema britannico, oltre a diventare un grande successo di pubblico.

Edoardo Peretti