The Band Wagon (Vincente Minnelli, 1953) approda al Cinema Ritrovato nell’edizione di 35 mm Technicolor direttamente dalla collezione privata di Martin Scorsese, e in tutto il suo tripudio di energiche danze e colori trascina il pubblico e lo conquista, nonostante all’epoca dell’uscita non ebbe grande successo.

Nel film Fred Astaire (e con lui Tony Hunter, il personaggio che interpreta), ritrova un palcoscenico diverso da quello del musical del passato: un’esplosione di colore, un mondo dove l’entertainment è protagonista e richiede un necessario adattamento ai nuovi tempi. Punta di diamante dei Musical prodotti da MGM, The Band Wagon di questa incarna anima e corpo, portando in scena la perfezione del musical degli anni cinquanta grazie ai colori sgargianti e accesi e all’interpretazione ai massimi livelli degli attori-ballerini Astaire e Cyd Charisse che, come nella miglior tradizione del genere, attraverso il ballo esprimono due mondi opposti e complementari: quello classico (colto e di matrice europea) di Gabrielle contro il moderno (popolare e tipicamente americano) di Tony. L’incompatibilità di visioni artistiche tanto diverse, è il nodo centrale della vicenda e si esplica nel graduale superamento dell’impacciata convivenza tra i due proprio attraverso la musica e la danza, forme culturali che vanno oltre le barriere individuali, esplicando il non detto, facendo emergere personalità e sentimenti che contribuiscono, passo dopo passo, alla risoluzione delle conflittualità iniziali.

A livello visivo inquadrature con insolite angolazioni di ripresa accompagnano, al pari delle coreografie, lo sguardo dello spettatore in una nuova dimensione, dove l’occhio è quello della macchina da presa. Le tematiche toccate, sono quelle care all’americano medio, dopo la Seconda Guerra Mondiale,  su tutte la creatività artistica: Tony/Astaire è un uomo di spettacolo che deve fare i conti con un presente difficile, dove fatica a mantenere la sua identità, dove per affermarsi occorre un rinnovamento, l’unico modo per durare in eterno – e solo Astaire ci riesce.

L’idea si esplicita in “The world is a stage, the stage is a world”, frase chiave che chiude il film, pilastro del genere e metafora di uno mondo, quello dell’America post Seconda Guerra Mondiale: bisogna riappropriarsi di un territorio, che è il palcoscenico, il che significa riconquistare il mondo intero.

 

Carlotta Acerbi – Associazione Culturale Leitmovie