Dopo il Marlon fuorilegge di One-Eyed Jacks, enorme nella proiezione di Sotto le Stelle del Cinema, è la volta del Marlon sceriffo di The Chase. Artur Penn costruisce, a partire dal testo di Horton Foote, un dramma ancora oggi di allarmante efficacia sul sottile confine tra società e barbarie. Charlie Reeves, detto Bubber, scappa di prigione e si trova coinvolto, suo malgrado, in un omicidio. La notizia della sua fuga si diffonde sino a Terrell, dove il suo nome è sulla bocca di tutti: nonostante lo sceriffo lo consideri innocente, l’evaso diventa rapidamente un vero e proprio mostro per i membri della upper class, determinati a trovarlo ed eliminarlo nel minor tempo possibile. La sfortuna porta Bubber in città, dando inizio ad una caccia all’uomo divisa tra chi vuole convincerlo a costituirsi e chi crede nell’efficacia di un giudizio sommario.
Dramma distillato nelle poche ore di un “sabato del villaggio”, la forza di The Chase risiede nei personaggi, scritti e interpretati magistralmente. La pellicola si fa forte di interpreti d’eccezione come Robert Redford, nei panni dello sfortunato evaso, Jane Fonda, sua moglie, e Marlon Brando, a impersonare lo sceriffo Calder, pilastri di una narrazione polifonica. Dei tre, è proprio la recitazione di Brando a colpire particolarmente, tratteggiando con estrema pulizia un tutore della legge tutto sguardi obliqui e battute pungenti, stoico nel difendere la giustizia da una società divenuta caricatura di sè stessa. Il resto del cast si muove in accordo con questo nucleo di talenti, completando un ritratto stilizzato ma credibile della provincia americana. I vari stereotipi della piccola comunità, dalla pazza di quartiere al ricco possidente, sono impreziositi da una buona sceneggiatura e da scelte di casting particolarmente azzeccate, con Janice Rule che brilla nel ruolo della provocante adultera.
Saggio di psicanalisi mascherato da critica sociale, la pellicola di Penn distende su schermo l’istante in cui l’inconscio trema, schiacciando il pensiero razionale. Il ritorno di Bubber agisce per gli abitanti di Terrell come la proverbiale madeleine proustiana, capace di portare alla luce un groviglio di ricordi sepolti da tempo e routine. Man mano che la notizia serpeggia di bocca in bocca, il pavido bancario Erwin Stuart riscopre una piccola disonestà di gioventù, Jane Fonda è costretta a confrontarsi con il suo amante, e i genitori dell’evaso con i sensi di colpa per non aver cercato di aiutare il figlio. Capro espiatorio per vocazione destinale, il personaggio di Redford va a simboleggiare l’intero carico di rimosso, mnemonico e istintuale, pronto ad esplodere nonappena si abbassa al guardia. Più Bubber si avvicina a Terrell, più la società sembra scivolare verso la sua faccia oscura, vittima di pulsioni incontrollabili ed istinti bestiali: impiegati si trasformano in vigilantes, mogli tradiscono i mariti in pubblico e l’unico rappresentante della legge viene brutalmente percosso. La società, nonostante i tentativi di Calder, crolla in una spirale di violenza, che si intensifica fino a culminare all’inevitabile tragedia finale.
Soltanto alcuni tempi eccessivamente dilazionati, probabilmente figli di quel montaggio accademico che ha sempre impedito a Penn di apprezzare interamente l’opera, inficiano un racconto affascinante, raccontato con maestria dall’occhio di un grande regista.
Gregorio Zanacchi Nuti