Grande entusiasmo per una perla della comicità americana: The Patsy, conosciuto in Italia come Jerry 8 e ¾, inspiegato richiamo a 8 ½ di Fellini. Diretto e interpretato nel 1964 da Jerry Lewis, indimenticabile fenomeno della commedia slapstick, il film inaugura in ciclo Technicolor & Co. – Vintage Print e viene proiettato in copia originale 35 mm dye Transfer per gentile concessione – nientemeno! – che dall’Academy Film  Archive della Paramount. Uno spettacolo che profuma di vintage, in cui alla bellezza dei colori pop anni Sessanta viene così restituito il suo splendore, grazie anche al fascino vissuto della pellicola.

In un incidente aereo muore il comico di punta di un gruppo di manager pezzi grossi dello showbusiness hollywoodiano. Per correre ai ripari, i sei (tra cui Peter Lorre, alla sua ultima apparizione sullo schermo, e John Carradine) decidono di creare una star a tavolino, che sia addestrata in tutto e per tutto, e che segua le loro linee guida in maniera impeccabile. Nella stanza d’albergo dove sono riuniti entra all’improvviso Stanley Belt, un timido e goffo fattorino, la “vittima sacrificale” perfetta per arginare il problema. Ma Stanley, purtroppo non è solo imbranato fino all’inverosimile, causa di disastri di ogni genere ovunque si trovi, ma anche totalmente refrattario alle nozioni di musica, danza, portamento e quant’altro che gli vengono impartite (storica, in questo senso la distruttiva – letteralmente – sequenza della lezione di canto). Finché, al suo debutto pubblico, non viene colto da una tremenda paura del palcoscenico. Nonostante riesca ad arrivare primo in classifica con un pezzo musicale, nonché ospite al celebre Ed Sullivan Show, l’asto nascente Stanley viene comunque abbandonato dai suoi manager, a parte la bella Ellen (Ina Balin) che si è innamorata di lui e crede nel suo talento nascosto. E la sua rivincità è subito dietro l’angolo.

A metà strada tra Il ragazzo tuttofare, di cui riprende il personaggio di Stanley, e Il mattatore di Hollywood, dove l’ingenuo di turno si trova suo malgrado catapultato nel mondo dell’entertainment, Lewis attua una vera e propria decostruzione dello star system, del quale svela letteralmente i retroscena nel finale, uscendo dal set e reclamando la pausa pranzo; non ne risparmia però una sottile critica, rispetto all’individualità dell’attore/cantante/showman che spesso e volentieri ne può uscire snaturato, salvo poi riscoprire il proprio talento in extremis.

Tra innumerevoli gag e dialoghi sconclusionati, resta inconfondibile il talento istrionico e la mimica del corpo e del viso di Lewis che ha fatto scuola per la comicità contemporanea, da Leslie Nielsen a Jim Carrey.

Denise Penna