Tratto dal romanzo Mikael di Herman Bang (lo stesso autore da cui Murnau trarrà più di un decennio dopo 4 Devils, ad oggi ancora perduto), Vingarne (1916) racconta un triangolo amoroso tra un anziano artista, il suo modello e una contessa amata da quest’ultimo. Sfiorando la tragedia nell’ultima parte, il film tuttavia non assume mai toni eccessivamente virati al deprimente o al patetico, ma anzi quelli della farsa, nella sua accezione più positiva. L’importanza di Mauritz Stiller, il regista di Vingarne, è spesso non presa giustamente in considerazione, soprattutto per quanto riguarda gli ultimi anni della sua carriera. Se nel pantheon delle più grandi dive di tutti i tempi siamo ora soliti collocare l’immortale Greta Garbo, lo si deve a Stiller, il quale prese sotto la sua ala protettiva l’attrice. I due realizzarono insieme Gösta Berlings saga (1924), che il produttore Louis B. Mayer vide durante una pausa dall’eterne riprese di Ben-Hur (1925) e decise d’invitare con sé negli Stati Uniti la Garbo e Stiller. Lei divenne celeberrima a Hollywood, lui litigò presto con la MGM e la Paramount e dopo una manciata di film (tra cui l’ultimo, Street of Sin, con Emil Jannings) dovette fare ritorno in Europa dove morì improvvisamente nel 1928, lasciando la Garbo in uno sconforto grandissimo dal quale non si riprese mai.
Sicuramente Stiller è uno di quei registi che avrebbero bisogno di essere riscoperti perché ogni sua pellicola è un incanto per gli occhi e Vingarne è un perfetto esempio di una sua produzione, in cui la cura per i più piccoli dettagli non viene mai tralasciata. Come se soffrisse di horror vacui, Stiller tende a riempire ogni scena del maggior numero di oggetti e arredi funzionali alla storia (in questo caso, manufatti artistici per lo più), in mezzo ai quali i suoi personaggi s’inseriscono, mischiandosi ad essi. È come se il regista volesse abbellire ogni singolo fotogramma del suo film per renderlo unico, una sorta di cifra stilistica rintracciabile nei suoi lavori che ancora si conservano e Vingarne è stata una splendida scoperta sempre all’interno della sezione Cento Anni fa di quest’ultima edizione de Il Cinema Ritrovato che procede a vele spiegate.
Simone Tarditi