Il film Who’s Crazy? (Thomas White, 1966) mette a tema il concetto di antipsichiatria che caratterizzava un acceso dibattito negli anni Sessanta: quali sono i criteri secondo i quali un uomo può essere considerato pazzo? La malattia psichiatrica è una caratteristica oggettiva dell’individuo che ne è coinvolto, o è piuttosto evidenza di una difficile messa in relazione tra l’individuo stesso e il mondo di cui fa parte? Fare l’analisi di un film come Who’s Crazy? significa innanzitutto contestualizzarlo storicamente, sia nell’ambito degli studi e degli studiosi che hanno condotto ricerche di questo tipo (da Basaglia o Szasz per le neuroscienze, da Goffman a Watzlawick per la sociologia), sia – ed è il nostro caso – artisticamente, sulla via della ricerca degli stili che caratterizzavano le arti performative dell’epoca (dal ready made, all’improvvisazione).

Nel film, membri del gruppo newyorkese Living Theatre (ad eccezione dei suoi fondatori, Judith Malina e Julian Beck) interpretano i pazienti di un manicomio  che, a causa di un guasto al pulman che li trasporta, riescono a scappare e a rifugiarsi in una desolata fattoria abbandonata. Qui i personaggi-attori cominciano a realizzare delle vere e proprie forme di happening teatrale, in cui l’azione prevale nettamente sulla parola: si raggruppano in branchi animaleschi (intorno ad un tavolo i personaggi emettono versi da scimmie antropomorfe); consumano riti di possessione (qui il parlato e il cantato si sovrappongono); esplorano gli ambienti e gli oggetti della casa (qualcuno tenta di accendere un braciere al ritmo di una batteria jazz); cucinano e mangiano anarchicamente.

Quest’idea di pazzia come limite tra libertà individuale e libertà dalle regole e dalle convenzioni sociali, si esprime musicalmente con Ornette Coleman che proprio in quegli anni aveva inciso un disco dal titolo Free Jazz. Così, il caos sonoro fa da contraltare al caos mentale: proprio il free jazz è l’avanguardia musicale di quegli anni che porta all’estremo limite il concetto stesso di improvvisazione (il tema, per intenderci, viene  ignorato o “sfilacciato” o relativizzato come uno dei molti elementi che vengono a comporre la musica; a proposito di free jazz, si parla dunque di polimorfia, poliritmia, politonalità, polifonia e policentrismo contemporaneamente). L’entropia sonora del free jazz arriva al limite della cacofonia nello spettatore e sostiene l’idea di una sperimentazione continua, anche fine a se stessa (ecco che le azioni dei personaggi diventano esempi cinematografici di nonsense). Insomma, alla domanda-titolo who’s crazy? solo le avanguardie artistiche, forse, hanno saputo dare una saggia risposta.

Marianna Curia – Associazione Culturale Leitmovie