Il Cinema Ritrovato 2016 ha offerto in tre giorni di proiezione una rapida panoramica sul cinema cubano, misconosciuto in Europa e America per l’embargo che da anni vige sull’isola caraibica. Il programma, curato con la consulenza di Luciano Castillo (direttore della Cinemateca de Cuba, ICAIC), ha presentato copie giunte avventurosamente al festival di alcune delle più significative e rare pellicole realizzate tra gli anni Trenta e i Cinquanta, prima dunque della locale rivoluzione e della conseguente presa di potere da parte di Fidel Castro. Una produzione certamente datata e ingenua, ma espressione libera e non retorica di uno spirito condiviso a livello nazionale che trova prevalentemente nella commedia la sua migliore forma espressiva. È attraverso di essa che la cinematografia di quegli anni guarda alla galoppante modernità del coevo sviluppo economico e al conseguente cambio di usi, costumi e comportamenti, con un misto di fascino e scetticismo, tenendo però sempre presenti i valori tradizionali (La Virgen de la Caridad, Ramón Peón, 1930; Cuba canta y baila, Manuel de la Pedrosa, 1951; Martí, mentor de juventudes, Juan Diaz Quesada, 1953).
Ma ciò su cui fa principalmente leva questo cinema, l’elemento che meglio esprime lo spirito del tempo, in cui è più facile rintracciare un preciso e condiviso senso di appartenenza alla collettività è la musica. Vero collante delle vicende narrate nelle pellicole, la componente sonora si presenta in definitiva come matrice della cultura locale, elemento-simbolo forte di una carica emotiva che travalica il puro gesto intellettuale, facendosi rappresentazione di un preciso modo di vivere (Cine-revista: Sonia Caballero, 1956; Fiesta de la canción cubana, Alberto G. Montes, 1956).
Affidati ad artisti locali di riconosciuta fama, i numerosi inserti che inframmezzano il narrato sono più che lungaggini digressive: le canzoni irrompono nel racconto per sottolinearne i passaggi fondamentali, non solo abbellendoli, ma caricando loro di un pathos altrimenti irraggiungibile (Maracas y bongó, Max Tosquella, 1932; Yo soy el héroe, Ernesto Caparrós, 1940; Cuba canta y baila).
Come recita la didascalia in apertura del film di Montes “la musica è lo specchio più veritiero della realtà sociale ed economica di una nazione. I nostri ritmi e le nostre melodie esprimono l’anima del popolo cubano”. La commistione di generi che si alternano nei lunghi intermezzi musicati – contradanza, conga, canti popolari, criolismo, canzone romantica, mambo o sonorità africane – diventa allora il segno dell’identità nazionale, frutto della commistione di razze e culture diverse, spesso complessa e difficile, ma punto di partenza indispensabile per accettare l’altro in un processo di equilibrato vivere civile. Mai cinema popolare è stato tanto politico.
Lapo Gresleri – Associazione Culturale Leitmovie