Grazie a Distribuzione Indipendente, giunge nelle sale italiane e al cinema Lumière Wilde Salomè, diretto e interpretato da Al Pacino, presentato fuori concorso alla 68esima Mostra del cinema di Venezia nel 2011 e vincitore del Queer Lion. A fine visione una domanda sorge spontanea: perché un film di questa portata arriva nelle nostre sale con un colpevole ritardo di cinque anni, nonostante la grande influenza dell’autore/interprete Pacino? È evidente fin da subito l’intenzione di non voler essere adatto a tutti i palati, a causa di una narrazione che si dispiega su diversi piani che andranno a comporre un’opera stratificata, com’è stata più volte definita.

Pacino va in scena a Los Angeles con Salomè, dramma teatrale di Oscar Wilde ispirato alla leggenda di Re Erode, alla sua perversa infatuazione per la figliastra, la quale s’innamorerà perdutamente del profeta Jokaanan (Giovanni Battista). Ben presto viene denunciata la pretestuosità della messa in scena teatrale, che, in questo caso, ha ragion d’essere solamente se messa al servizio del mezzo cinematografico: il film diventa un intreccio di teatro, cinema, documentario e backstage, avanzando in modo frammentario pur essendo coinvolgente e solido grazie a una sapiente cura del linguaggio espressivo e del montaggio.

La finzione cinematografica e la preparazione della pièce sono alternate da viaggi in Europa, nei luoghi dove l’autore nacque, visse e morì, interviste a personalità del calibro di Gore Vidal, Tom Stoppard e Bono Vox (influenzato dall’opera di Wilde e che regala al film l’omonimo brano eseguito dagli U2) e filmati di backstage che documentano incomprensioni, tensioni e affiatamento, regalando all’occhio cinefilo un’appagante testimonianza delle modalità di lavoro di grandi artisti e mestieranti del cinema e del teatro.

Pacino confeziona un film pieno d’amore per la cultura, prima ancora che per Oscar Wilde e per la sua opera, curato meticolosamente e ossessivamente, ottenendo un notevole risultato visivo nelle (poche) sequenze di pura messa in scena, caratterizzate da quadri esteticamente ineccepibili. La lode più grande va alla versatilità con la quale è stato capace di recitare in un dramma, filmare le scene in teatro di posa e dirigere il documentario allo stesso tempo.

Ad arricchire il tutto l’ennesima prova recitativa di un attore cardine della storia del cinema che ribadisce la sua grandezza, interpretando le sfaccettature di Erode soprattutto attraverso la modulazione della voce, pacata, sottile e serpentina nei momenti in cui cede al fascino di Salomè, quanto esplosiva e autoritaria nel momento della sua condanna a morte. Accanto a lui, Jessica Chastain dà vita a una meravigliosa Salomè, candida bambola di porcellana innamorata del profeta Jokaanan, che si frantuma nel momento del rifiuto, trasformandosi in bestia ferita, covando un desiderio di vendetta che la porterà a divenire una sorta di vampiro disposto a tutto pur di succhiare una goccia del sangue di chi la ferì. In particolare durante la celebre sequenza della danza dei sette veli, Chastain dimostra capacità performativa e carica erotica straordinarie, arricchite da una messa in scena e un utilizzo del colore in chiave espressionista che evocano scorci infernali.

Nonostante non ci si trovi di fronte a un’opera priva di punti deboli, non si può far altro che riconoscere a Pacino grande coraggio nell’ideare un film tanto sfaccettato quanto passionale e raggiungere egregiamente l’obiettivo prefissato, ricoprendo diversi ruoli e dimostrandosi ottimo direttore d’orchestra.

Stefano Careddu