“Mi piaceva dare a questa ragazza un sogno che poi le veniva strappato”. Così Lamberto Sanfelice parla di Cloro, il suo film d’esordio che, dopo il passaggio al Sundance Film Festival e alla Berlinale, è arrivato nelle sale italiane. Jennifer è una diciassettenne di Olbia messa continuamente a dura prova dalla vita. Dopo la morte della madre è costretta a trasferirsi con il padre e il fratello in una inospitale baita sui monti abruzzesi. Deve abbandonare il sogno di partecipare ai campionati di nuoto sincronizzato e si ritrova a fare i conti con la dura montagna e le asprezze dell’esistenza.

Sanfelice, autore anche della sceneggiatura assieme a Elisa Amoruso, non indulge nella semplice commiserazione della protagonista, anzi la caratterizza con una straordinaria tenacia e forza di volontà. Nonostante a diciassette anni le siano stati scippati la vita, il quotidiano e anche i sogni, Jennifer corre, si allena, lavora duramente e non perde mai il contatto con la realtà, anche quando, sradicata dalla propria quotidianità, deve scontrarsi con la depressione del padre o la fragilità emotiva del fratello.

Sara Serraiocco (Jennifer) ha il compito di reggere interamente il film sulle sue spalle. La macchina da presa la segue insistentemente, la incalza per tutta la narrazione e, proprio per questa scelta, il regista è stato più volte avvicinato ai fratelli Dardenne. Sanfelice si ispira anche a Cassavetes, uno dei punti di riferimento per tutti gli artisti che hanno una particolare cura nel delineare i protagonisti. Alle intense figure dei personaggi, però, si contrappone una trama troppo rarefatta, che si insinua in piccole istantanee quotidiane della protagonista, e i riferimenti necessari per comprendere la narrazione giungono allo spettatore in ritardo rispetto allo scorrere degli eventi. Inoltre, molte scene vengono interrotte proprio un attimo prima dell’apice della tensione drammatica. Questa scelta potrebbe essere un tentativo di restituire il dolore della vita della protagonista, le emozioni spezzate che non le permettono di fermarsi neppure un attimo, favorendo il meccanismo di identificazione del pubblico. Ma questo schematismo del film, che ripropone la stessa dinamica più volte, rischia di creare una frustrazione nello spettatore, a cui viene impedito di vivere a pieno il dramma della vicenda. In contrasto con questo, le scene ambientate in piscina sono estremamente elaborate e immerse in un’atmosfera onirica. Queste sequenze avvolgono la sala con la loro coreografia, riprese da prospettiva subacquea, talvolta capovolte o dalle inclinazioni inconsuete, sottolineano lo sforzo e la dedizione che c’è dietro a questo sport. L’acqua è l’unico ambiente in cui la protagonista sembra essere pienamente a proprio agio, avvolta e amata.

Un’opera prima che si caratterizza per il coraggio del regista capace di fare scelte decise e consapevoli. Allo stesso tempo una delicata storia di un personaggio pieno di energia, che brilla immerso nel freddo del dramma. Una riflessione sulla precarietà dell’esistenza, che può essere stravolta in un’istante, ma anche un omaggio alla forza della protagonista, che non si arrende mai, decisa a riprendersi i propri sogni.

Chiara Maraji Biasi