Nel corso del tempo, Cinefilia Ritrovata ha riservato molta attenzione al mondo dei videogame e all’analisi delle pratiche videoludiche, grazie all’apporto dell’Archivio Videoludico. Quella che proponiamo oggi è un post un po’ particolare e inconsueto. A seguire, infatti, leggerete una trascrizione edulcorata di una conversazione online che ha avuto luogo il 25 febbraio 2016, poche ore prima della pubblicazione di The Town of Light, videogioco italiano ambientato nell’ex ospedale psichiatrico di Volterra. Andrea Dresseno (Archivio Videoludico) e Simone Tagliaferri (Multiplayer.it) si confrontano sul gioco, ma la chattata prende sin da subito una piega inaspettata. La conversazione contiene spoiler minori. La foto di copertina è di Lorenzo Polvani (www.lorenzopolvanifotografie.com).

AD: Per caso The Town of Light parte con Windows XP, che tu sappia?

ST: Non credo, chiede DirectX11

AD: Che depressione, mi tocca aspettare la versione Xbox One

ST: Sì, ti perdi un gran gioco

AD: Sob

ST: Ma secondo te si può leggere ancora roba del genere? Mi sono imbattuto in una recensione in cui l’autore, in soldoni, non ritiene il videogioco il medium adatto per raccontare la storia di The Town of Light. E questo perché l’interazione, elemento cardine del videogioco, è ridotta all’osso. Mah! Che poi mi sa che confonde anche l’interazione diegetica (personaggio – mondo di gioco), con quella extra-diegetica (giocatore – interfaccia). Però è meglio non sottilizzare troppo.

AD: Più che altro dimostra una visione superficiale del concetto di interattività. Non si può affermare una cosa simile con tanta leggerezza

ST: Ma sono tutte così, guarda. Lì dove si svela la natura della storia del gioco, i recensori parlano di “confusione”. Ma certo che è confusa, state interpretando una ex-paziente che ha subito di tutto e che non ricorda cosa le è successo. L’obiettivo del giocatore è anche quello di leggere i diversi documenti e metterli a confronto con i ricordi della donna, cercando le contraddizioni. Prendi l’esistenza di un certo personaggio, Amara. Lo sappiamo sin da subito che è reale, perché la troviamo nominata in un documento. Quando troviamo la seconda parte della cartella clinica di Renée però, la sua esistenza viene messa in discussione. Ci serve un terzo documento per chiarire che Amara era reale, ma non era proprio come Renèe la ricordava. A quel punto però viene meno anche la fiducia nei confronti dei documenti ufficiali, perché abbiamo appreso che possono mentire e possono fornire versioni di comodo. Questo gioco di contraddizioni tra le fonti è presente per l’intera avventura

AD: Attenzione agli spoiler eh! Per quanto qualcuno sostenga che lo spoiler non sia dannoso ma anzi, consenta di guardare un’opera con occhi diversi. Però se mi fai spoiler ti uccido.

ST: Giusto un esempio. Renée ricorda di essere stata violentata da uno degli infermieri, di essere rimasta incinta e di essere stata costretta ad abortire. Tutto questo non appare nella sua cartella clinica, in cui si parla di vaghi incontri nel parco con qualcuno di non definito. Solo se abbiamo trovato un terzo documento che denuncia l’accaduto internamente all’istituzione possiamo capire cosa è successo e che c’è stata una manipolazione dei documenti per coprire lo scandalo. Quale gioco ha messo meglio in scena di The Town of Light cosa significa davvero fare una ricerca? Però niente, di tutto questo nei vari articoli non traspare assolutamente nulla. La scimmia di turno è entrata in confusione e giù di votacci.

AD: Oggi ti percepisco molto arrabbiato.

ST: Più che altro deluso dal vedere che non si sfruttano occasioni come questa per cambiare approccio critico al medium videoludico o quantomeno provarci.

AD: Eh, purtroppo ce ne vorrà prima che l’approccio cambi. Ma cambierà, sono fiducioso

ST: Sì, ma succede sempre così. È successo con Dear Esther. Recentemente con SOMA e The Beginner’s Guide, per fare un altro paio di esempi celebri. Non sono ottimista come te

AD: The Beginner’s Guide! Molto bella la tua recensione

ST: No davvero, puoi giocare a The Beginner’s Guide e non vergognarti di scrivere “è corto”?

AD: Io ormai nelle mie recensioni non parlo più della durata se non è pertinente, se non è un elemento che danneggia il gioco o di cui il gioco beneficia. Voglio dire, ci sono titoli che durano due ore e va benissimo così, funzionano perfettamente. Non ho mai capito il legame tra investimento economico e durata. Compro un gioco perché dura o perché merita?

ST: Mi vengono in mente un sacco di cattiverie, meglio che mi taccio.

AD: Tanto con me sfonderesti una porta aperta.

ST: Quando studi game design all’estero tra le varie materie ci sono anche letteratura e cinema. I professori ti consigliano di leggerti un bel po’ di libri, prima di metterti a scrivere qualcosa, perché fondamentalmente quello che farai sarà un riflesso della tua cultura e, per quanto tu possa essere brillante, se sei una scatola vuota creerai solo scatole vuote. Bellissime, magari, ma vuote. Ecco, ritengo che un discorso simile possa essere fatto anche per chi recensisce videogiochi, ma in generale per qualunque ambito. Nel nostro caso dobbiamo fare un lavoro di comprensione abbastanza complesso, perché in teoria dobbiamo riuscire a trovare un senso in una composizione di forme espressive differenti che perdono parte del loro significante per strada, diventando un’altra cosa. Bene, è brutto dirlo, ma la conclusione più scontata è che per fare questo lavoro si dovrebbe sviluppare una certa cultura che trascenda la mera conoscenza dei videogiochi, altrimenti si è preparatissimi di fronte a una meccanica, ma meno a raccontare la retorica che sottintende.

AD: In linea generale, credo sia importante essere persone curiose. Quel che dici è verissimo, purtroppo la critica videoludica (intesa come categoria di persone) andrebbe ripensata. È troppo ancorata a vecchi modelli che non funzionano più, per quanto qua e là la situazione stia lentamente cambiando

ST: È ancorata a quei modelli perché non ha la curiosità e la cultura per andare oltre, impigrita da lettori che non chiedono altro che di sapere se spenderanno bene o no i loro soldi.

AD: Quindi come si scardina il tutto? Accontentando i lettori? È sempre il solito problema. In una logica commerciale è difficile scardinare questo modello. Banale, ma è così

ST: Appunto. Bisogna sfruttare certe occasioni per dare spazio a riflessioni che vadano oltre la mera catalogazione di pregi e difetti. Così da mostrare che esistono alternative possibili a ciò che viene scritto di solito

AD: Bisognerebbe organizzare una sorta di meeting della critica per parlarne. Sono temi importanti

ST: Lo chiamiamo “La viverna d’argento”

AD: Mi metto all’opera