Rispettando quasi totalmente la regola aristotelica dell’unità di tempo, luogo e azione, William Wellman realizza un western dal grande rigore narrativo e dal grande impatto morale, raccontando la cronaca di un linciaggio attuato da un’intera comunità, approfittandone per risollevare quel substrato di violenza atavica che tanto spesso torna nelle narrazioni statunitensi e nelle riflessioni sulle origini della nazione. Questa tematica -la violenza insita nell’essenza del popolo americano legata all’epopea della frontiera e alla guerra civile, mai davvero sopita dall’avvento della legge e della civiltà- non è stata trattata solo dal western, ma certamente è nel genere americano per eccellenza che ha trovato più frequentemente modo di venire a galla. Raramente però in maniera così esplicita come nel caso del film di Wellman (viene in mente un altro western, semi sconosciuto ai più: giorno maledetto di John Sturges, altro film con al centro un linciaggio, aggiornato però agli anni successivi al secondo conflitto mondiale). L’occasione di ricorrere alla giustizia sommaria appare quasi come un divertimento raro e inaspettato per i membri della comunità, ma anche –la cosa più inquietante- come uno sfogo terapeutico e necessario, e le apparenze di giustizia fornite dalle autorità lì presenti sembrano un cinico trucco per rendere ancora più lungo e stimolante il gioco. Il tutto è reso più pregnante dal set reso claustrofobico, nonostante sia uno spazio aperto, dai chiaroscuri che esaltano le atmosfere nebbiose e notturne e da brevi ma frequenti movimenti di macchina, che da un lato rendono più “mobile” la narrazione, ma dall’altro, uniti a ricorrenti primi piani, delimitano ulteriormente il perimetro dell’ambiente inchiodando i personaggi ai loro comportamenti e alle loro pulsioni. La vicenda si svolge pochi anni dopo la fine della guerra civile, chiaramente e significativamente citata all’inizio; cioè di quell’evento della storia americana che, a livello simbolico, avrebbe portato all’affermazione dell’ordine e della civiltà ma che in realtà ha rafforzato quel substrato di violenza atavica che qui è il detonatore dell’intera vicenda. La legge è assente e sbeffeggiata, e all’eroe “vecchio stile”, simbolo positivo ma senza manicheismi dell’età della frontiera, non resta che osservare, impossibilitato a intervenire per davvero.
EDOARDO PERETTI