Come annunciato, proseguiamo la pubblicazioni di articoli cinefili sulla tecnica del cinema, e lo facciamo grazie al contributo dell’esperto Federico Magni. Oggi sotto la lente di ingrandimento finisce il cinema di avventura, specialmente nella variante del cappa e spada piratesco. Chi è il vero autore di questi film, registi e divi a parte? Ode ai maestri d’armi…Segue.

Nel 2003 la bandana e l’occhio mascarato di Jack Sparrow hanno riportato in auge un genere su cui i lamenti funebri erano ancora piu’ marcati che sul western. In tempi non lontani, il Jolly Roger era stato nuovamente dispiegato su Cutthroat Island (1995) di Renny Harlin, ma aveva trovato solo bonaccia. I pirati dei Caraibi sono invece partiti a vele spiegate con La maledizione della prima luna (2003) grazie ad un protagonista carismatico ed un copione che mescola abilmente avventura ed elementi soprannaturali. Questo connubio si era dimostrato vincente sullo schermo grazie alla interpretazione di Johnny Depp ed all’uso evidente ma motivato di effetti visivi, senza tuttavia al momento topico previsto dal genere: il confronto all’arma bianca.

Il salto di qualità nei duelli cinematografici si può dire avvenga con il maestro belga Fred Cavens (1882-1962). Nativo di Bruxelles, allievo dell’Istituto Militare Belga, giunse negli Stati Uniti nel 1907 e trovò impiego alla Universal. Douglas Fairbanks fu impressionato dal lavoro di Cavens in The Three-Must-Get-Theres (1922), parodia di Max Linder de I tre moschettieri (The Three Musketeers, 1921) interpretato dallo stesso Fairbanks. Ne Il pirata nero (The Black Pirate, 1925) Cavens coreografò un duello con spada e pugnale tra Fairbanks e Anders Randolf su una spiaggia rocciosa. Dieci anni più tardi Cavens tenne a battesimo l’esordio con le armi di Errol Flynn, erede cinematografico di Fairbanks, in un contesto analogo nel celebre Capitan Blood (Captain Blood, 1935), remake sonoro della omonima pellicola della Vitagraph (1925) dal romanzo di Rafael Sabatini. Flynn ottenne uno dei suoi maggiori successi vestendo i panni dell’arciere di Sherwood in La leggenda di Robin Hood (The Adventures of Robin Hood, 1938), prodotto con ampiezza di mezzi dalla Warner Bros. Fotografato in un sontuoso Technicolor da due cameraman di origine italiana (Sol Polito e Tony Gaudio) e dallo specialista del colore W. Howard Greene, risultò il film più premiato agli Oscar 1939, con tre statuette per la potente partitura di Erich Wolfgang Korngold, la scenografia di Carl Jules Weyl ed il montaggio di Ralph Dawson.

Peter Blood aveva incrociato la lama con Capitan Levasseur sulle spiaggie rocciose di Catalina Island, Robin di Locksley e Guy di Gisbourne si erano fatti strada a colpi di spadone tra stanze, mobilia, colonne e scaloni del castello di Nottingham: in entrambi i casi l’oppositore di Flynn era Basil Rathbone, considerato la migliore lama di Hollywood. Appassionato di scherma, con molti anni di studio alle spalle, Rathbone ebbe le lodi di Cavens ma, nella sua carriera cinematografica, vinse il suo unico duello quando interpretò Tebaldo nel Romeo e Giulietta (1936) di Cukor. Per contro Flynn era uno studente indolente, che sopperiva alla poca disciplina con una condizione fisica d’atleta ed una memoria prodigiosa, in grado di memorizzare immediamente le più complicate routine.

Dopo Robin Hood, Cavens ritrovò Flynn ne Lo sparviero del mare (1940), la nuova avventura sui mari della Warner, con Curtiz sempre al timone, ma stavolta l’avversario era Henry Daniell. Attore inglese di formazione teatrale, Daniell possedeva lo stile adeguato per plasmare gelidi ed efficaci villain, ma la poliomielite sofferta in gioventù aveva inciso fortemente sul coordinamento dei movimenti. A lavorazione protratta non c’era possibilità di sostituire l’attore nel ruolo di Lord Wolfingham, così Michael Curtiz decise di conferire alla scena un ritmo tale da rendere difficoltoso distinguere i volti dei duellanti nei campi lunghi. Il montatore George Amy (Capitan Blood, La carica dei seicento) frammentò al massimo l’azione senza sacrificare il dinamismo; Sol Polito riprese lo scambio in una alternanza di luce e tenebra, spesso fotografando i duellanti a distanza per porre al centro delle inquadrature le loro ombre proiettate sulle alte pareti dei saloni di corte. Don Turner prese il posto di Flynn in brevi scambi, mentre Daniell dovette essere estensivamente doppiato nei campi lunghi da Ned Davenport e Ralph Faulkner, quest’ultimo destinato a diventare il primo importante maestro d’armi dello schermo di origine americana (Il prigioniero di Zenda, 1937). Il successo della pellicola costituì per Daniell una pubblicità al contrario, sotto forma di numerose offerte nel filone cappa e spada, nonostante le difficoltà descritte in precedenza.

Altre case cinematografiche issarono le vele, sempre attingendo alla letteratura di genere: il produttore Edward Small, che aveva raccolto consensi e incassi con una pregevole versione sonora de La maschera di ferro (The Man in the Iron Mask, 1939) diretta da James Whale, fece nuovamente ricorso a Alexandre Dumas per I fratelli corsi (The Corsican Brothers, 1941), con Douglas Fairbanks, Jr. impegnato in un doppio ruolo (e doppiato da Ralph Faulkner quando doveva duellare con sé stesso). Ma lo sforzo più rilevante giunse dalla 20th Century-Fox. Tyrone Power era reduce dal successo de Il segno di Zorro (The Mark of Zorro, 1940) esaltato, oltre che dall’incisivo bianco e nero di Arthur Miller, da una delle più felici realizzazioni di Cavens: il duello tra Don Diego (Power) ed il capitano Pascale (Rathbone). La casa produttrice prese liberamente spunto dalla figura storica del pirata Henry Morgan (sullo schermo un imponente Laird Cregar) per addobbare Power con tanto di bandana e sciabola e metterlo alla ricerca de Il cigno nero (The Black Swan, 1942). Henry King diresse e il direttore della fotografia Leon Shamroy guadagnò il primo dei suoi quattro Oscar grazie a un fiammeggiante Technicolor che esaltava, oltre ai tramonti sull’oceano, la chioma e la carnagione della protagonista Maureen O’Hara, da allora in avanti votata alle avventure dai cromatismi accesi. Fred Cavens fu impegnato anche in questa pellicola, che aveva il momento saliente nel confronto tra Power e George Sanders, nei panni coloriti del pirata Bill Leech. Sanders era portato per indole a ruoli in cui feriva più con la lingua che con l’arma bianca e la destrezza fisica non era il suo forte. Grazie all’aspetto minaccioso del personaggio (capelli lunghi e barba folta) fu possibile celare sotto il pesante trucco un valido opponente per Power (Sanders compare nei primi piani e nei campi medi). Alcune fonti asseriscono che fu lo stesso Cavens ad impersonare il capo pirata ma Nick Evangelista, maestro d’armi allievo di Ralph Faulkner e studioso di cinema d’avventura, sostiene che invece si trattò dell’esperto di scherma George Barrows. In effetti sarebbe stato complicato per Cavens, alto un metro e settantacinque, misurarsi con il metro e novantatrè di Sanders.

L’espediente di sostituirsi all’interprete grazie al trucco ha trovato una celebre applicazione in anni più recenti ne L’impero colpisce ancora (The Empire Strikes Back, 1980) quando Bob Anderson ha vestito il mantello e la maschera di Darth Vader nel duello con Mark Hamill / Luke Skywalker. In aggiunta ad avere uno scontro spettacolare ed elegante, pesava il fatto che le nuove spade laser erano più resistenti e solide delle precedenti: mettere una simile arma in mano a Dave Prowse, per tre anni campione britannico di sollevamento pesi, in un costume che offriva poca visibilità e fargli affrontare un altro protagonista della saga non era una prospettiva allettante per i produttori. Così toccò ad Anderson non solo coreografare i duelli ma vestire i panni dell’antagonista ne L’impero e ne Il ritorno dello Jedi. Se qualcosa fosse andato storto, Anderson era la persona più adatta per variare tempestivamente un affondo o una parata senza mettere in pericolo l’avversario o dover interrompere bruscamente lo scambio. Nato a Gosport (Inghilterra) nel 1922 (e scomparso nel gennaio 2012), Anderson ebbe i primi contatti con il cinema da sparring partner di Errol Flynn per Il principe di Scozia (The Master of Ballantrae, 1953), pellicola cui prese parte come controfigura. Per quasi trent’anni fu allenatore della squadra britannica di scherma, ma questo non gli impedì di frequentare i set, ed il lavoro per Stanley Kubrick in Barry Lyndon (1975) lo segnalò all’attenzione di George Lucas che, in preparazione di Guerre stellari, contattava di preferenza chi aveva collaborato con Kubrick. Dalla metà degli anni Ottanta intensificò la sua attività cinematografica, spaziando dal duello sulla scogliera tra Cary Elwes e Mandy Patinkin in La storia fantastica (The Princess Bride, 1987), alle sfide affrontate nel corso dei secoli dall’Highlander Christopher Lambert. Privilengiando uno stile elegante e spettacolare, Anderson ha sfruttato al massimo le possibilità offerte dagli ambienti: il duello sulla teleferica tra Antonio Banderas e Matt Letscher.in La maschera di Zorro (The Mask of Zorro, 1998) o il confronto tra Pierce Brosnam e Toby Stephens in La morte può attendere (Die Another Day, 2002), con la distruzione del… club di scherma. Come altri maestri del passato Anderson e’ rimasto attivo fino a tarda età (il caso limite rimane Ralph Faulkner, che allenò Harry Hamlin per Scontro di titaniClash of the Titans quando aveva ottantanove anni): a ottanta anni e più ha coordinato i duelli per il ciclo de Il signore degli anelli (2001-2003), le nuove gesta della Volpe della California (La leggenda di Zorro, 2005) e del soldato di ventura interpretato da Viggo Mortensen in Alatriste (Captain Alatriste, 2006), ed ha addestrato Johnny Depp e Orlando Bloom per vestire i panni de I pirati dei Caraibi.

Federico Magni