Nuovo appuntamento con il ciclo di presentazioni di volumi alla presenza dell’autore in Biblioteca Renzo Renzi (Piazzetta Pasolini, 3/b), promosso dalla Cineteca di Bologna e dal Dipartimento delle Arti – Università di Bologna. Al centro dell’incontro di giovedì 7 maggio, alle ore 19, la serialità televisiva contemporanea: Sara Martin presenterà, insieme a Paola Brembilla, il volume da lei curato La costruzione dell’immaginario seriale contemporaneo. Eterotopie, personaggi, mondi (Mimesis), un percorso sulla scrittura e la costruzione di luoghi e personaggi dell’immaginario contemporaneo a partire da Buffy fino a True Blood, passando attraverso Person of Interest, Lost, fino a Game of Thrones. A seguire, le curatrici Alice Autelitano e Veronica Innocenti presenteranno il n° 19 della rivista “Cinéma & Cie. International Film Studies Journal” (Carocci Editore), dedicato proprio alla serialità televisiva europea.  Per l’occasione Cinefilia Ritrovata è lieta di pubblicare in esclusiva l’introduzione del primo volume, scritta da Sara Martin. Segue.

 

Produzione dell’immaginario seriale

 

 

 

Come affermò una volta Merleau-Ponty,

“non si può fuggire l’essere se non nell’essere”

e siccome per gli uomini Essere e Apparire coincidono,

ciò equivale a dire che non posso fuggire l’apparenza se non nell’apparenza[1].

Hanna Arendt

 

 

Oggetto di ricerca nell’ambito degli studi sulle serie televisive a partire dalla Second Golden Age, sono stati i diversi modi di utilizzo delle strutture narrative seriali: in funzione dello spazio e del tempo (l’uso generoso di espedienti quali i flashback e i flashforward fino all’introduzione di nuove tecniche narrative come i flashsideways che scavallano il concetto di storyline, ad esempio); attraverso l’ibridazione dei formati seriali – non solo tra serie “aperte” e “chiuse”, ma anche tra formati destinati alla televisione, al web, ad altri dispositivi mobili. Numerosi studi hanno infatti affrontato lo sconfinamento del format originale verso altre strutture mediali dalla produzione di webisodes ai mobisodes fino ai games collegati direttamente alla serie televisiva di riferimento; in rapporto alla relazione “intensiva” tra prodotto seriale e spettatore (fandom e di conseguenza fansites, fan fiction, fan critic).

Tale fermento produttivo testimonia che la serialità è probabilmente al centro di una tensione trasformatrice della società contemporanea. Questa la tesi: l’eterotopia di Michel Foucault potrebbe essere usata come chiave di una possibile sistemazione della complessità mediale e narrativa della serialità. In generale l’eterotopia ha come regola quella di giustapporre in un luogo reale più spazi che normalmente sarebbero, dovrebbero essere incompatibili. La televisione è l’eterotopia per eccellenza, è al centro di tensioni collettive che tendono a riassorbirla o a farla scomparire per organizzarne altre che non esistevano ancora: le nuove tecniche mediali, veicolo di “un flusso policentrico, senza tempo e senza progetto, della rete informatica, creatrice e distruttrice di mondi con la beata innocenza di chi è al di là del bene e del male”[2]. Eppure il televisore è ancora oggetto sacro e media insuperato, è al centro del globo, è creatura ambigua e in perenne evoluzione, spazio reale e virtuale al contempo, veicolo delle metamorfosi sociali e della loro rappresentazione utopica: “Esso costituisce, nel cuore dello spazio domestico, al tempo stesso un luogo di intimità e riposo, sinonimo di sospensione dal lavoro, ed uno spazio aperto sull’esterno, un legame con il mondo, fonte della presenza e della parola dell’altro, che rompe con il suo stesso ambiente intimo e familiare, diventando un a porte chiuse sociale”[3].

Oggi gli universi seriali mettono in scena storie e personaggi, elaborano vicende politiche e storiche che coinvolgono universi eterogenei, costruiscono autonomamente “esperienze narrative transmediali, crossmediali e di migrazione delle piattaforme”[4]. E così non è più un’urgenza continuare a svolgere delle indagini che coinvolgono il rapporto tra cinema e televisione per legittimare o anche solo codificare il valore del piccolo schermo: gli spazi abitati dai due media sono “reciprocamente soddisfacenti”[5] nonché fruibili, spesso, attraverso le stesse piattaforme. Gli universi seriali oggi costruiscono e rappresentano mondi possibili o impossibili e si spingono verso una sempre maggiore “moltiplicazione e complessificazione del mondo rappresentato”[6]. Conosciamo narrazioni che prendono vita in mondi assolutamente differenti: utopie localizzate in contro-spazi.

 

Questi spazi, che in qualche modo sono legati a tutti gli altri, che pertanto contraddicono tutti gli altri luoghi, appartengono a due grandi tipologie. Ci sono anche, e ciò probabilmente in ogni cultura come in ogni civiltà, dei luoghi reali, dei luoghi effettivi, dei luoghi che appaiono delineati nell’istituzione stessa della società e che costituiscono una sorta di contro-luoghi, specie di utopie effettivamente realizzate nelle quali i luoghi reali, tutti gli altri luoghi reali che si trovano all’interno della cultura, vengono al contempo rappresentati, contestati e sovvertiti; una sorta di luoghi che si trovano al di fuori di ogni luogo, per quanto possano essere effettivamente localizzabili. Questi luoghi che sono assolutamente altro da tutti i luoghi che li riflettono e di cui parlano, li denominerò in opposizione alle utopie, eterotopie[7].

 

Le eterotopie, ovverosia gli “spazi differenti, luoghi altri, una specie di contestazione al contempo mitica e reale dello spazio in cui viviamo”[8], ci interessano in maniera particolare nella definizione dei mondi seriali che, come vedremo, a prescindere dal genere di appartenenza, si servono di spazi anomali per costruire un nuovo immaginario, e all’interno di questi spazi i personaggi si muovono e si evolvono, attenti a proteggere la dimensione di chiusura dell’eterotopia, in cui si collocano, restii (o impossibilitati) a concedere l’ingresso degli altri spazi al loro interno.

Le eterotopie definite da Foucault assumono forme svariate e possono essere suddivise in due categorie. Abbiamo le eterotopie di crisi, cioè quei “luoghi privilegiati o sacri o interdetti, riservati agli individui che si trovano, in relazione alla società, e all’ambiente umano in cui vivono, in stato di crisi. È il caso degli adolescenti, delle donne nel periodo mestruale, delle partorienti, dei vecchi ecc”[9], e le eterotopie di deviazione cioè quei luoghi dove “vengono collocati quegli individui il cui comportamento appare deviante in rapporto alla media e alle norme imposte. Si tratta delle case di riposo, delle cliniche psichiatriche e si tratta anche delle prigioni”[10]. È in questa direzione che il volume si propone di ragionare, indagando la scrittura e la costruzione di luoghi e personaggi altri[11] attraverso una serie di contributi legati dalla stessa urgenza di comprensione dell’immaginario.

 

Produzione dell’immaginario

 

Ma a cosa ci riferiamo quando parliamo di immaginario? Come ci spiega Jean-Jacques Wunenburger, filosofo della televisione:

 l’immaginario è provvisto di un contenuto (semantica) di strutture (sintassi), ma deriva soprattutto da un’intenzione, un orientamento della coscienza. È per questo che tutto può diventare immaginario, persino ciò che altrove è ritenuto reale, poiché l’immaginario è posto dalla coscienza come un contenuto concreto assente, non attualizzato. È dunque posto come immaginario ciò che apre su dei possibili, ciò che è dotato di un orientamento creatore interiore (funzione poietica), di una pregnanza simbolica (profondità di senso secondo) e di una forza di adesione da parte del soggetto. Che cosa spinge dunque la coscienza ad immaginare un mondo altro? A cosa aspira il soggetto di un immaginario? E quale valore è possibile accordare, a partire da ciò, a questa visione del mondo? Deprivante, alienante o catartico?[12]

 

Siamo istintivamente spinti dalla necessità di drammatizzare, attraverso la costruzione di mondi altri, la nostra condizione nello sforzo e nella speranza di godere di sentimenti e di stati d’animo che si sostituiscano a quelli che viviamo nella realtà o almeno che servano da anestetico per sopportare il groviglio di emozioni con cui siamo costretti a vivere. Per il nostro piacere o per la nostra incapacità di sopportare l’intensità delle esperienze reali, costruiamo, attraverso il gioco, l’arte, il divertimento, nuove e articolate immagini del mondo. Nell’immaginario costruito da alcune delle serie televisive di cui si parla in questo volume (Lost, Game of Thrones, Heroes, Once Upon a Time, Walking Dead, solo per fare qualche esempio) gli autori hanno dato origine a una rappresentazione del mondo attraverso la quale lo spettatore vive esperienze affettive e sensoriali fantastiche che – se talvolta si sovrappongono al suo vissuto interiore – altre volte diventano uno strumento di comprensione e di cognizione della realtà. Diventano cioè dei miti. L’immaginario (o il mito) serve a “provvedere gli uomini di memoria, fornendo loro dei racconti in grado di sintetizzare e ricostruire il passato e giustificare il presente”[13]. E così, in alcuni casi, proprio “come nel processo del mito, alcuni mondi di serie televisive riescono a inglobare lo spazio dello spettatore diventando luoghi di creazione di risposte sulla società”[14].

In altri casi invece, le serie si pongono l’obiettivo di narrare il mito di fondazione di civiltà che si costruiscono (o provano a costituirsi) sulla base di un nuovo ordine – risultato, come nel mito dell’assassinio fondatore (Romolo e Remo nella fondazione di Roma), di un disordine maggiore finalmente o anche solo momentaneamente sconfitto. Facciamo qualche esempio: la comunità costituita sull’isola dai sopravvissuti del volo Oceanic 815 di Lost; la riconfigurazione di una nuova struttura sociale in The Walking Dead dove “il costante assottigliarsi del confine che separa gli umani dagli zombie è accompagnato da una progressiva normalizzazione della situazione di eccezione”[15]; la violenza con cui la natura, nella serie Les Revenants si riappropria di una cittadina di montagna che è risorta grazie all’intervento umano nella regolazione dell’acqua di un lago attraverso la costruzione di una diga. I superstiti all’inondazione, dopo aver fatto un’esperienza di condivisione del loro vissuto quotidiano con i “ritornati”, non avranno altra scelta che rivivere il lutto e ricostituire una società a partire ancora una volta da un episodio drammatico[16]; il sud rurale degli Stati Uniti rappresentato in True Blood, popolato da sempre da miti e leggende sotterranee, in cui il mondo ordinario subisce più che una rifondazione, un’intensificazione, dove “i vampiri, i mutaforma, i licantropi, le fate e le varie creature soprannaturali che popolano la serie […] sono un modo per dare manifestazione a ciò che di innaturale vi è nell’essere umano, non un modo per mettere a tacere l’umano con ciò che umano non è”[17]; la costituzione non di una singola città o società, ma di un mondo intero – quello di Game of Thrones – “perfettamente cartografato, proprio in ossequio alla verità narrativa come coerenza interna dei fatti narrati che deve manifestarsi innanzitutto a livello spaziale”[18]. Il mondo immaginario di Game of Thrones ha quattro continenti, quello centrale, Westeros (suddiviso in sette regni), “è il centro nevralgico sia dei destini del mondo, sia della diegesi”[19] in cui è la lotta per la conquista del trono a determinare la fondazione del mito. Ancora secondo Wunenburger: “La pace civile, inerente al progetto urbano, non può essere ottenuta se non a prezzo di una nuova violenza, paradossalmente fondatrice […] essa rinvia propriamente ad una violenza intra-sociale, intestina: è l’immagine stessa della violenza che circola nella società endogamica, nello spazio chiuso della città. […] Intensificando i loro rapporti in uno spazio limitato, gli uomini si espongono al tempo stesso ad accentuare la violenza, escogitando tuttavia nuovi strumenti per sconfiggerla[20].

 

Costellazione eterotopica

 

Se abbiamo definito cosa intendiamo per costruzione di un immaginario nell’universo seriale, cerchiamo di tracciare una mappatura dei luoghi in cui questi mondi prendono vita, arrivando così a “ciò che c’è di più essenziale nelle eterotopie. Esse sono la contestazione di tutti gli altri spazi, e questa contestazione si può esercitare in due modi: o creando un’illusione che denuncia tutto il resto della realtà come un’illusione, […] oppure creando realmente un altro spazio reale tanto perfetto, meticoloso e ordinato, quanto il nostro è disordinato, mal organizzato e caotico”[21].

In questi spazi si collocano, per esempio, le serie che appartengono a quello che possiamo indicare come il sottogenere prison television series. The Prisoner, una delle serie più significative della cultura pop della fine degli anni Sessanta (esiste anche una miniserie-remake omonima del 2009), racconta la reclusione del protagonista, “Numero 6”, in un villaggio surreale, privo di collocazione geografica, con case e piazze in stile neopalladiano. Si tratta della messa in scena di una sorta di esperienza mista tra un’utopia e un’eterotopia, soprattutto in considerazione del fatto che – nonostante l’ambientazione esterna sia caratterizzata da un surreale stile mediterraneo (privo di tempo e di collocazione topografica), la casa di Numero 6 è una fedele riproduzione della sua abitazione londinese, a eccezione del fatto che tutti gli accessi sono automatici e fuori dal controllo del prigioniero con la conseguente assenza totale di privacy; OZ (la prima produzione con la durata di un’ora a episodio di HBO) si svolge esclusivamente all’interno di un penitenziario e la maggior parte delle scene è ambientata nel cortile di raccolta dei detenuti dove tutto è visibile. Non esistono fuoricampo, non esistono, neppure per gli spettatori, possibilità di evasione all’esterno del penitenziario se non attraverso i flashback dei soggetti narrati; In Prison Break il protagonista Michael Scofield – non potendo mandare a memoria l’intera planimetria della prigione per far evadere il fratello – decide di farsela tatuare su tutta la parte superiore del corpo prima di farsi arrestare: l’eterotopia qui è addirittura è un segno indelebile nel corpo del personaggio principale; un ultimo esempio infine (ma l’elenco non è certamente esaustivo) è quello della serie prodotta dalla piattaforma web Netflix, Orange Is the New Black, dove la protagonista decide autonomamente di costituirsi per scontare la sua pena e fa quindi volontariamente ingresso nello spazio eterotopico: il carcere femminile.

Un ulteriore principio di descrizione dell’eterotopia riguarda il fatto che una società può far funzionare con modalità diverse un’eterotopia. Foucault porta ad esempio il cimitero. Questo spazio nel tempo ha subito trasformazioni notevoli e se in passato è stato parte integrante dello spazio abitativo – si collocava a fianco alla Chiesa, nel cuore del centro abitato – oggi è relegato in un luogo altro, così lontano e inaccessibile da elevarsi a principale simbolo del culto moderno dei morti. Sul rapporto tra il luogo di sepoltura, i morti e la città in cui hanno vissuto, si costituiscono mondi narrativi anche radicalmente diversi fra loro, dalle serie sugli zombie: The Walking Dead, In the Flesh; alle numerose saghe più o meno riuscite che vedono come protagonisti i vampiri: la soap camp degli anni Sessanta Dark Shadows, la serie di culto Buffy l’ammazzavampiri, l’eccessiva True Blood, l’adolescenziale The Vampire Diaries. A parte invece è il caso di Les Revenants dove il cimitero con il vecchio paese, è stato sommerso dalle acque di una diga. Dalla violazione di questo spazio sacro ha origine l’incontro conflittuale e doloroso tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti.

Le eterotopie, secondo Foucault, sono anche connesse con la suddivisione del tempo; “ciò significa che aprono a quelle che si potrebbero definire per pura simmetria delle eterocronie; l’eterotopia si mette a funzionare a pieno quando gli uomini si trovano in una sorta di rottura assoluta con il loro tempo tradizionale”[22]. Un elemento essenziale messo al centro da J.J. Abrams in Lost è la rottura tra il tempo dell’isola e quello al di fuori dell’isola[23], ma anche Fringe, Heroes, Flashforward, solo per citare gli esempi più manifesti, si costruiscono attorno alla stessa frizione. In relazione al rapporto con il tempo, ci sono poi alcuni luoghi dove il tempo “si accumula all’infinito come ad esempio i musei e le biblioteche”[24]. E proprio la biblioteca, quel “luogo in cui il tempo non smette di accumularsi”[25], è il punto nevralgico di pianificazione e studio – protetto da sguardi indiscreti ma anche spazio destinato alla consultazione dell’archivio visivo delle telecamere di sorveglianza sul mondo reale – di Finch e Rees, i protagonisti del fantapolitico Person of Interest[26].

Nel polimorfo articolarsi delle eterotopie, come si è detto all’inizio, non è possibile accedervi in maniera libera e lineare. Normalmente o ne siamo costretti (prigione, isola, astronave[27]…) o dobbiamo compiere dei rituali per accedervi. Tuttavia ci sono anche dei luoghi che assomigliano a “pure e semplici aperture, ma che in genere celano delle particolari esclusioni: tutti possono entrare in questi spazi eterotopici, ma a dire il vero non si tratta che di un’illusione”. Questa eterotopia, “la si potrebbe forse ritrovare nelle famose camere dei motels americani dove si entra con la propria automobile e con la propria amante e dove la sessualità illegale si trova al contempo rigorosamente protetta e rigorosamente nascosta, tenuta in disparte senza essere, tuttavia, esposta alla luce del sole.”[28] Se l’hotel è già di per sé “un luogo privo di riferimenti geografici o culturali, che condensa gli elementi aleatori e precari di un’idea di estraneità”[29], quello in cui si sviluppa Bates Motel[30] che riparte da Psyco (Psycho, Alfred Hitchcock, 1960) per raccontare gli stessi personaggi collocati in un universo narrativo differente sotto vari punti di vista, è l’immagine medesima dell’eterotopia descritta da Foucault.

 

 

Conclusione introduttiva

 

Dove sta il senso della presente collezione di saggi eterotopologici? E’ possibile ricondurre l’immaginario seriale a una ragione? Ha senso occuparsi di narrazioni che sembrano sviluppare una fantasia senza freni e senza regola? Certamente sì: “L’immaginazione, in quanto espressione dello stato attuale delle attitudini corporee, non ci conduce certamente a verità di ragione, ma può disporci in maniera tale da distoglierci dalla tristezza e dall’odio, passioni antisociali per eccellenza. L’immaginario, comune a diversi individui, attivato dai processi d’identificazione interindividuale, può dunque concorrere a far regnare nella società un’interrelazione di corpi, e dunque di spiriti, in grado di favorire la vita della ragione”[31].

 

 

 

[1] H. Arendt, The Life of the Mind, Harcourt Brace Jovanovich, New York-London, 1978, trad. it. La vita della mente, Il Mulino, Bologna 2009, p. 103; T. Langan, Merleau-Ponty’s Critique of Reason, New Haven-London, 1966, p.93.

[2] D. Giglioli, Critica della vittima, Nottetempo, Roma 2014, p. 74.

[3] J. J. Wunenburger, L’imaginaire, Presses Universitaires de France, Paris, 2003, trad. it. L’immaginario, Il melangolo, Genova 2008, p. 112.

[4] R. Menarini, Schermi profondi: lo spazio della narrazione tra cinema e televisione, infra, p. ..

[5] Ibidem.

[6] Aldo Grasso, Massimo Scaglione (a cura di) Arredo di serie. I mondi possibili della serialità televisiva americana, Vita e Pensiero, Milano, 2009.

[7] M. Foucault, Eterotopia, Mimesis, Milano-Udine, 2010, p. 11.

[8] Ivi, p. 13.

[9] Ivi, p. 14.

[10] Ibidem.

[11] Cfr. M. Comand, Un colpo al cuore e uno alla cassa: i personaggi nella serialità fantasy, infra, p…

[12] J. J. Wunenburger, L’immaginario, cit., p. 67.

[13] Ivi, p. 78.

[14] M. Boni, Mondi ed epica nella serialità contemporanea. Immersione, transmedialità e multi autorialità, infra, p… Sui mondi seriali che invadono, usano, inglobano lo spazio dello spettatore attraverso lo sconfinamento all’interno di altri luoghi del reale o dell’immaginario si vedano, in questo volume anche: A. Cucchetti, Keep Flying. Appunti sui fenomeni di fandom da Firefly a Community, infra, p…; V. Innocenti, Welcome to the Hellmouth. Il mondo di Buffy, infra, p…; P. Brembilla, Grimm: un ecosistema narrativo in costruzione, infra, p…..

[15] G. De Luca, Zombie come noi. La rappresentazione dello straniero attraverso la rappresentazione del morto vivente in The Walking Dead, infra, p…

[16] C. Grizzaffi, A volte, semplicemente, ritornano. Les Revenants e un passato ineluttabile, infra, p….

[17] P. Bianchi, True Blood. Quando l’eccesso è sovrannaturale, infra, p…

[18] E. Terrone, L. Bandirali, Game of Thrones, L’immagine-mappa. Spazio, conflitto, forme di vita, infra, p….

[19] Ibidem.

[20] J. J. Wunenburger, op. cit., p. 79-80.

[21] M. Foucault, Eterotopia, cit., p. 25.

[23] Su questo concetto e sulle teorie della fisica quantistica negli universi seriali si basa l’intervento in questo volume di A. Brodesco, Universi eleganti. Teorie scientifiche e trame seriali, infra, p….

[24] M. Foucault, cit., p.17

[25] Ibidem.

[26] Per l’analisi degli spazi di Person of Interest si veda: V. Valente, Barriere invisibili e dispositivi di controllo. Il confronto fra mondi in Person of Interest, infra, p…

[27] Ci riferiamo per esempio all’astronave di Battelstar Galactica approfondito in questo volume per quanto riguarda l’aspetto sonoro da M. Gianneri, Battelstar Galactica. La musica, il sonoro e le trame inascoltate della tecnologia, infra, p…; ma anche all’Enterprise di Star Treak o a Serenity di Firefly: “La nave [possiamo dire anche l’astronave] è l’eterotopia per eccellenza. Nella civiltà senza navi, i sogni si inaridiscono, lo spionaggio sostituisce l’avventura e la polizia i corsari”. M. Foucault, Eterotopia, op. cit., p. 21.

 

[28]M. Foucault, cit., p.19.

[29] M. Foucault, Spazi altri: i luoghi delle eterotopie, Mimesis, Milano 1994, pp. 30-31.

[30] Cfr. R.Catanese, V. De Simone, Teenage Bates Motel, infra, p.-.

[31] J. J. Wunenburger, op. cit., p. 85.