Dopo The Empire of Corpses di Ryôtarô Makihara, primo di una trilogia di film d’animazione ispirata ai romanzi di fantascienza di Project Itoh, al Future Film Festival 2016 è arrivato anche il capitolo successivo: Harmony di Takashi Nakamura e Michael Arias, anch’esso in competizione per il Platinum Grand Prize. L’opera abbandona gli ambienti steampunk del suo predecessore per proiettarci in un futuro governato dalla medicina.

In seguito ad un conflitto nucleare sono state introdotte sul mercato tecnologie capaci di estendere la vita degli esseri umani e migliorarne la qualità: WatchMe, sistema di nanomacchine capace di monitorare il metabolismo dei suoi utenti, e Medicare, rapide cure capaci di guarire qualsiasi anomalia identificata da WatchMe. L’ufficiale Tuan Kirie cova un sincero rancore per lo stesso sistema che contribuisce a proteggere, ed è tormentata dal suicidio di Miach Mihie, suo amore del liceo. Quando, in seguito ad un’ondata di suicidi, Tuan risente la voce di Miach, prende la decisione di partire in viaggio per ritrovare l’amica.

Il soggetto riesce alla perfezione nel dispiegare sullo schermo un futuro possibile, permettendo agli spettatori di interrogarsi sulle problematiche del nostro presente. Le domande sulle conseguenze di una medicina troppo pervasiva, la possibilità di influenzare il comportamento umano agendo direttamente sul cervello e i rischi di vivere perennemente connessi a tecnologie social riescono ad inquietare e a far riflettere. Nel soffermarsi su temi come il libero arbitrio o il ruolo dell’ego nel vivere sociale, Harmony va a calcare il percorso inaugurato da Ghost in the Shell e proseguito da opere come Ergo Proxy e Psycho-Pass, reclamando una parentela con tutti gli anime di stampo cyberpunk impegnati a sondare questioni in bilico tra filosofia, psicologia e neuroscienze.

Lo Studio 4°C gestisce efficacemente le animazioni, sfruttando il 3D per lanciarsi in carrelli e movimenti di macchina complessi, e il mondo di Itoh appare convincente e curato anche nei concept delle architetture, con i palazzi delle nuove metropoli giapponesi costruiti a ricordare grandi strutture organiche. Ad un soggetto affascinante e una buona resa su schermo non riescono purtroppo a tenere dietro i personaggi: Tuan, Miach e le altre deboli figure che ci accompagnano alla scoperta di questo futuro distopico si mostrano fin troppo sottili per generare empatia nello spettatore, complice un character design decisamente poco ispirato che si limita a riciclare topoi ormai lisi dell’iconografia anime e manga. Gli attanti si trovano, loro malgrado, ad essere agiti dalla grandezza dei temi che dovrebbero manovrare, gettando un’ombra considerevole su un prodotto altrimenti molto valido.

Gregorio Zanacchi Nuti