La prima giornata del Future Film Festival 2016 si è conclusa ieri con la proiezione di Miss Hokusai, film d’animazione di Keiichi Hara – già noto per Colorful – tratto dal manga Sarasuberi di Hinako Sugiura, che segna la prima collaborazione del regista giapponese con la Production I.G.
Premiata alla scorsa edizione del Festival Internazionale del Film d’Animazione di Annecy, l’opera, in competizione per il Platinum Grand Prize, si configura sin dal principio come un biopic sui generis. Le vicende pressoché sconosciute di O-Ei, figlia maggiore del celebre pittore giapponese Hokusai, si mescolano infatti a episodi di carattere fantastico, mentre le affascinanti rievocazioni della Tokyo di inizio XIX secolo conferiscono alla vicenda un sapore nostalgico e sognante.
Ambientata nell’antica Edo, il cui periodo storico è tradizionalmente ricordato come di massimo splendore della civiltà giapponese prima della modernizzazione avviata a fine Ottocento, la pellicola conferisce proprio alla città un essenziale ruolo narrativo. I suoi canali, i suoi viali alberati e le sue strade affollate sembrano infatti costituire la principale fonte di ispirazione per la produzione artistica di Hokusai, così come della figlia, aspirante pittrice che Hara immagina talentuosa tanto quanto il padre.
Sebbene l’indagine del processo creativo non sembri costituire la principale preoccupazione del regista, tuttavia questi sembra suggerire che il tratto deciso ed elegante della sua protagonista non possa nascere che dall’osservazione attenta e partecipe del mondo circostante e dalla profonda comunione con il soggetto rappresentato. Non a caso O-Ei riuscirà a rappresentare la sensualità nelle sue stampe erotiche solo dopo le prime incerte esperienze amorose, mentre i tanti schizzi preparatori in bianco e nero sembrano prendere simbolicamente vita – e colore – solo nel finale del film, con il dolcissimo ritratto della sorella minore.
Se una tale riflessione sulla pittura come strumento di conoscenza e condivisione con il mondo può risultare a suo modo affascinante – anche perché supportata da personaggi efficaci e sinceri –, meno riuscito sembra essere il tentativo di costruire riferimenti visivi e compositivi alle stampe di Hokusai. Sebbene l’appassionato possa trarre un certo gusto nel rintracciare i numerosi rimandi iconografici, il confronto con il maestro giapponese risulta spesso impietoso, e il film non sembra soddisfare appieno, almeno a livello visivo, le elevate aspettative che il tema trattato poteva far legittimamente avanzare. L’esito quasi paradossale è che se Miss Hokusai può deludere gli occhi, trae comunque una certa forza dalla colonna sonora, che accosta coraggiosamente il rock alle vedute in colori pastello dei templi buddhisti, mentre risultano meno azzardati ma altrettanto efficaci i temi più tradizionali che accompagnano lo scorrere placido e sereno della vita quotidiana.
Costruito più attraverso una successione episodica di eventi indipendenti che come un’unica vicenda coerente – e qui emerge maggiormente la derivazione dal manga –, Miss Hokusai è mosso dal nobile intento di raccontare una storia sconosciuta ai più, a cui si aggiunge l’ambizione, tutto sommato raggiunta, di ammantare la vicenda di leggerezza e spontaneità.
Maria Sole Colombo