Tre anni dopo Wolf Children, Mamoru Hosoda torna al Future Film Festival con The Boy and the Beast, secondo lungometraggio animato realizzato con lo Studio Chizu, piccola realtà fondata dal regista dopo aver lasciato il colosso Madhouse. Presentata nella sezione Premiere dei film fuori concorso, l’opera si è piazzata al secondo posto nella classifica degli incassi giapponesi del 2015 ed è stata distribuita l’anno seguente in Europa e Stati Uniti, cementando lo status di Hosoda come nuovo maestro dell’animazione mondiale.

Quando la madre muore in un incidente stradale, il piccolo Kyuta scappa dalla custodia dei parenti e, seguendo una misteriosa figura, raggiunge il Jutengai, mondo popolato da animali antropomorfi. Qui viene adottato dal burbero orso Kumatetsu, aspirante al trono di Re delle Bestie alla ricerca di un successore da allenare. Dopo anni di apprendistato, Kyuta fa accidentalmente ritorno nel mondo degli umani e conosce Kaede, ragazza con cui stringe una sincera amicizia. Lacerato tra i due mondi, il ragazzo dovrà crescere imparando a scegliere cos’è meglio per lui.

Se sulla produzione di Hosoda incombe dagli albori l’ombra di Hayao Miyazaki – termine di paragone fisso per tutta l’animazione che preferisce le emozioni alle esplosioni –, in The Boy and the Beast l’autore manovra con consapevolezza i cliché dello Studio Ghibli, riposizionandoli in un’opera solo all’apparenza canonica. Ottimo esempio è l’approccio alla figura della bestia: se ne La città incantata gli spiriti animali sono espressione di un’alterità assoluta, un mondo completamente differente rispetto a quello civilizzato da cui viene Chihiro, nella pellicola di Hosoda il Mondo delle Bestie si presenta implicitamente come teatro interiore del protagonista, coloratissima metafora dello sguardo adolescente sul mondo.

Realtà e fantasia sono fusi nelle sembianze degli animali antropomorfi che lo abitano, e ricordi e desideri reclamano un corpo: la madre defunta trova forma nel piccolo Chico, e la mancanza di una forte figura paterna viene colmata dall’orso perdigiorno, sorta di doppio del protagonista con cui instaura un rapporto di litigi e apprendimento reciproco. Non è un caso che, per trionfare sull’antagonista di turno e provare la sua maturità, Kyuta accolga letteralmente nel suo cuore Kumatetsu, unico modo per riconciliarsi con il mondo degli adulti da cui era fuggito nove anni prima.

The Boy and the Beast è animato elegantemente, con uno speciale riguardo per le sequenze di combattimento, ma il suo più grande valore è altrove: Hosoda si scava un posto nel cuore dello spettatore con una storia potente, che propone in maniera mai scontata molte delle polarità tipiche del bildungsroman in salsa di soia (allievo/maestro, giovinezza/età adulta, fantasia/realtà), rese alla perfezione nella distinzione tra i cromatismi vivaci del Jutengai e le tinte malinconiche del quartiere di Shibuya, sempre sotto l’occhio sgranato delle telecamere di sorveglianza. A completare l’immersione nel racconto è la riuscitissima colonna sonora di Takagi Masakatsu, capace di accompagnare la narrazione tessendo il tappeto più indicato per ogni occasione.

Unica nota agrodolce in due ore di ottima armonia è il finale: qui, a differenza che in Wolf Children, la possibilità di abbracciare una vita fuori dal comune non è contemplata. Infanzia ed età adulta sono viste come due momenti allelomorfi, con la seconda che germoglia sulla morte della prima. Siamo davvero così sicuri che Kyuta, compiuti i fatidici 18 anni, non torni più tra i colori del suo Mondo delle Bestie?

Gregorio Zanacchi Nuti