La sezione cinema di Gender Bender propone in anteprima italiana Dope, quinto lungometraggio di Rick Famuyiawa, presentato al Sundance Film festival 2015 e alla Quinzaine de Réalisateurs all’ultimo Festival di Cannes. Malcolm (Shameik Moore) è un ragazzo di origini nigeriane (proprio come il regista) che vive a Inglewood, quartiere soprannominato The Bottom, sobborgo malfamato di Los Angeles dove il traffico di droga e la malavita dilagano e i rapper-gangster regnano sovrani. Egli, assieme ai due più cari amici, Diggy (Kiersey Clemons) e Jib (Toni Revolori, il lobby boy di The Grand Budapest Hotel) sarà, quasi quotidianamente, preso di mira dai bulli della sua scuola.

La svolta avverrà in seguito alla conoscenza di una ragazza, Nakia (Zoe Kravitz, figlia di Lenny) della quale Malcolm s’innamorerà e per la quale parteciperà ad una festa che diverrà evento catalizzatore dell’intera vicenda. È un film che ha partecipato a grandi festival, vanta produttori di tutto rispetto, quali Forest Whitaker che è anche la voce narrante e Pharrell Williams, ma non convince fino in fondo. Sembra voler essere sia un tributo musicale agli anni ’90 (Malcolm è appassionato di Hip Hop e suona in una band Punk Rock con gli amici), sia un film che racconta l’high school americana con tanto di love story ed eccessi pre-college in stile American Pie, per poi passare ad argomenti più seri e socialmente impegnati quali il problema della criminalità, della droga e della corruzione a Los Angeles, che, secondo il film, starebbe anche ai piani alti delle prestigiose università (le quali finiscono per premiare il più scaltro e non necessariamente il più meritevole) e collegarsi infine al discorso razziale, problema risolto solamente in apparenza, ma ancora radicato in parti della cultura statunitense. Sembra davvero troppo per stare in un solo film di un’ora e quarantatré minuti dal tono commediale.

Malcolm è una persona determinata, ma viene accusato di arroganza dal preside della scuola solamente perché pretende (in quanto afroamericano) di voler entrare ad Harvard. Durante l’intera narrazione il ragazzo non si troverà mai davvero in pericolo, ogni ostacolo sarà superato con una facilità e leggerezza quasi disarmante, andrà dritto fino al traguardo rappresentato dalla lettera con su scritto Admission spedita dal tanto desiderato college.

La parte migliore del film sta nelle scelte stilistiche: un leggero citazionismo visivo a Ritorno al futuro (un bullo sbeffeggia Malcolm chiamandolo McFly), rewind improvvisi molto didascalici, ma funzionali allo stile miscellaneo che il regista sceglie di adottare e split screen innumerevoli atti a restituire le interfacce web nel momento in cui lo stesso web diventa elemento centrale della narrazione. E uno stile che richiama il videoclip nelle scene in discoteca: questa scelta risulta in perfetta in sintonia con la produzione di Pharrell Williams e la presenza di artisti hip hop tra il cast.

Stefano Careddu