Per Gender Bender cinema, ecco Muerte in Buenos Aires, noir argentino ambientato negli anni ’80 e diretto da Natalia Meta, regista esordiente nel lungometraggio. Il protagonista è l’ispettore Chavez, interpretato da Demian Bichir (che vanta una lunga e folta carriera non solo televisiva, ma anche cinematografica e prenderà parte al prossimo film di Tarantino, The Hateful Eight, in uscita nel gennaio 2016), dovrà indagare sul delitto di un importante esponente degli Alcorta, famiglia appartenente all’alta società di Buenos Aires e invischiata in traffici illeciti. La città e il corpo di polizia sono naturalmente al soldo della famiglia ed egli sarà costretto a dribblare i vari tentativi di depistaggio e corruzione che gli si presenteranno davanti, coadiuvato dalla fascinosa partner Dolores Petric (Monica Antonopulos). Le indagini condurranno presto agli ambienti gay e ai locali notturni della città, così  Chavez deciderà di avvalersi dell’aiuto di un ambizioso poliziotto, Gómez (Chino Darín) il quale agirà sotto copertura. Questa giovane figura enigmatica sarà capace di far crollare rovinosamente ogni certezza che il rude e burbero ispettore Chavez aveva: lo attrarrà, lo ingelosirà, maltratterà e infine farà cedere.  Lo spettatore prima rimane affascinato dall’agente, poi ne dubita e, assieme all’ispettore, sospetta di esser caduto nella paranoia, prima del finale (non troppo) a sorpresa.

Il film si propone di essere un interessante gioco con il genere. Sono utilizzati i personaggi propri del noir classico, riadattati e rivisitati: il duro e tormentato detective, il partner (in questo caso donna e amante) e la femme fatale che farà perdere la testa all’eroe infallibile, anche se qui si tratterà proprio del giovane agente di bell’aspetto, arrivista e opportunista proprio come i personaggi interpretati dalle dive del passato. Questo lavoro di rivisitazione presupporrà forzatamente l’uso di determinati cliché atti a rafforzare da una parte il genere col quale si vuole giocare e dall’altra inserire elementi che andranno ad estremizzare gli stereotipi che costituiscono la narrazione. Natalia Meta introduce intelligentemente un leit-motive: Splendido Splendente (storico successo di Donatella Rettore) apre la pellicola e ritorna più volte, inspessendo la bellissima ambientazione anni ’80. Utilizza inoltre noti attori di serie televisive sudamericane e concede un cameo a Luisa Kuliok, famosissima interprete di telenovelas.

La pellicola sembra avere un problema di sceneggiatura che risulta a tratti superficiale, si disinteressa (forse consapevolmente) della verosimiglianza, preferendo concentrarsi sull’estetica. Assieme alla cifra stilistica, la reale forza del film è la capacità di non prendersi eccessivamente sul serio, costruendo qualche siparietto che suscita ilarità, smorza i toni e strappa qualche sorriso tra il pubblico in sala. La durata esigua e il tono sarcastico rendono Muerte a Buenos Aires una piacevole visione, una buona sperimentazione che si pone per quello che effettivamente è e non vuole in nessun modo essere altro, se così fosse allora si presenterebbe più di un problema.

 

Stefano Careddu