La retrospettiva dedicata ad Alain Delon da parte della Cineteca di Bologna non può non tenere conto del capolavoro di Luchino Visconti, Il gattopardo. Per l’occasione, e sapendo che sul film si è detto, scritto e filmato quasi tutto (ma non tutto), Cinefilia Ritrovata ha pensato di offrire un po’ di risorse dedicate agli attori. I volti del Gattopardo, infatti, ne rappresentano, insieme a scenografia, costumi, colori, spazi e stile, il correlativo soggettivo, la carne viva, l’impressione destinata a depositarsi nel tempo…
Ecco allora per cominciare il blog dello studioso viscontiano Ivo Blom, dove si trovano molti materiali e indicazioni su Visconti/arte figurativa/ attori/volti.
Poi riportiamo le parole di Visconti su Lancaster (scelto dopo che per alcuni mesi la parte sembrò toccare al troppo anglicizzante Laurence Olivier)…
Della sua interpretazione nel ruolo del principe Fabrizio di Salina, Visconti disse: “Penso che Lancaster abbia dato, non soltanto con le sue eccezionali doti naturali e di mestiere, ma con un serio impegno di studio e approfondimento tanto del suo ruolo quanto del testo di Lampedusa e della letteratura storica che ad esso può introdurre, un contributo personale decisivo alla realizzazione del personaggio. È entrato nella parte via via che il film si inoltrava nel suo contesto, e lo si vedrà crescere sullo schermo secondo questo ritmo. E poiché il momento di maggiore altezza umana e drammatica del principe di Salina coincide a mio avviso proprio col punto culminante del ballo in casa Ponteleone, l’interpretazione di Lancaster si è avvantaggiata anche del suo stesso graduale e sofferto sviluppo” (Dialogo con Visconti, in Il film Il Gattopardo e la regia di Luchino Visconti).
E le parole di Alain Delon sul suo stesso ruolo: “il mio ruolo, quello di Tancredi, aveva una funzione storica e politica molto precisa: Garibaldi, le mutazioni dell’Italia… Me ne ha parlato relativamente poco ma con precisione. Si è soprattutto concentrato sul Principe Salina che interpretava Burt Lancaster. Lui stesso avrebbe dovuto recitare il ruolo, e noi tutti l’abbiamo incoraggiato a farlo. Alla fine non ha osato ed è stato senza dubbio meglio così. Il Principe era lui. Il film è la sua autobiografia. Ogni gesto che fa Lancaster, è lui, Visconti. Era un uomo molto duro con tutti e soprattutto con se stesso. Poteva rimanere al lavoro quattordici ore di fila, dalle sei di sera alle otto del mattino, con meno dieci gradi a Milano. E nessuno avrebbe potuto rifiutarsi di rimanere. Era la sua intransigenza ma aveva sempre uno scopo, una funzione” (Entretien avec Alain Delon, a cura di Olivier Dazat e Jacques Fieschi, “Cinématographe”, n. 103, settembre-ottobre 1984).
Dalle memorie di Claudia Cardinale, alcune parole molto liriche: “Sotto i merletti, le sete, i pizzi, i punti di Venezia o d’Aleçon, di Bruxelles o di Inghilterra, sotto quei bianchi leggeri come la spuma delle onde, o trasparenti come la bruma sulla laguna, ero compressa in un corsetto d’epoca, di una crudeltà implacabile. Quella era la magia del cinema, con Visconti. Sotto l’apparente facilità, sotto l’eleganza naturale, si celava la sofferenza. Come il mio corpo serrato in quella morsa, noi attori eravamo una materia plasmabile tra le mani del nostro grande demiurgo. A lungo, di quel corsetto mi è rimasto un segno attorno alla vita che mi ricordava la ferita che avevo sopportato senza dire niente, e quasi senza soffrire, tanto ero trascinata dall’entusiasmo, la certezza di partecipare a un’opera eterna, la consapevolezza della bellezza che ci circondava. Quel film ha cambiato la mia vita, aprendo la mia carriera al cinema internazionale. Ma più ancora, dopo quelle riprese, non fui più la stessa” (Claudia Cardinale, Le stelle della mia vita, Piemme, 2006, p. 93).