Dopo una lunga ed intensa settimana chiude la rassegna dedicata ai muti di Hitch e lo fa con The Manxman (1929), film drammatico ambientato in un villaggio dell’Isola di Man. Questo è il penultimo muto del regista britannico, l’ultimo con Eliot Stannard alla sceneggiatura. The Manxman introduce la storia di due amici d’infanzia, Pete e Philip innamorati della stessa ragazza, Kate. Questa si è promessa a Pete, ma quando lui decide di partire in terra straniera per cercare fortuna, inizia una relazione clandestina con Philip e rimane incinta. Quando Pete torna ricco, dal suo lungo viaggio, inconsapevole di quanto accaduto in sua assenza, corona finalmente il suo sogno d’amore sposando Kate con il benestare del padre. Quando Kate scopre di essere incinta, Pete si convince che il figlio sia suo. Inizia così un lungo periodo di sofferenza per la coppia dei veri innamorati, una situazione destinata presto a scoppiare. In un finale drammatico la verità viene svelata e Pete rimane solo con il cuore spezzato, mentre Philip e Kate, assieme alla loro figlia, si allontanano dal loro villaggio natio tra il disprezzo della gente.

Oltre ad avere una trama molto intensa e ben strutturata, il film è ben costruito dal punto di vista dei temi visivi. Hitchcock riesce a costruire delle splendide inquadrature cariche di significati simbolici o in grado di prefigurare quanto accadrà in futuro. A fortissimo impatto sono le scene in cui i due amanti, per non ferire Pete, fingono che niente sia successo in sua assenza. Così mentre Pete è esprime una genuina felicità quando finalmente può sposare la sua amata, o scopre che presto diventerà padre, le telecamere indugiano sugli sguardi disperati dei due innamorati, intrappolati nel loro segreto. Con The Manxman Hitchcock propone l’ennesima forte critica alla società puritana che determina che i sentimenti vengano sopraffatti dalla necessità di mantenere le apparenze. Un parola data conta così più che un sentimento genuino e la menzogna esaspera una situazione che si sarebbe potuta risolvere diversamente.

Tra il pubblico non è mancato chi ha urlato al capolavoro, il film ha conquistato per la sua intensità e drammaticità ma anche per la vividezza delle immagini ancora attualissime ed evocative. Altri si sono dimostrati più cauti, ma nel complesso il film è piaciuto ed ha convinto. The Manxman segna un momento di passaggio fondamentale nella produzione di Hitchcock, che ha qui raggiunto una vera e propria maturità che gli consentirà di fare il definitivo salto di qualità con Blackmail (1929), sotto l’influsso di Charles Bennett. Il lavoro operato dal BFI National Archive è ancora una volta straordinario ed ha ridato lustro ad uno dei lavori forse più sottovalutati della produzione generale di Hitchcock e muta in particolare. In questo lungo percorso attraverso gli esordi di Hitch il pubblico ha imparato così a conoscere tante sfaccettature di un regista destinato a diventare un mito. La rassegna si è conclusa con un interminabile applauso, sintomatico di quel sentimento di riconoscimento che tutti gli spettatori che hanno seguito la rassegna  nutrono nei confronti del BFI per il lavoro di restauro e per il Cinema Ritrovato che ha finalmente permesso che tutta la produzione muta di Hitch potesse essere presentata in un’unica rassegna e nelle migliori delle condizioni possibili.

Yann Esvan