Quello che accade oggi in Sudan risuona lontano ma il conflitto interno, che nel corso di decenni di guerre civili ha prodotto la separazione tra il nord e il sud, è ancora vivo e doloroso. Hajooj Kuka, regista, attivista e inviato di guerra di origine sudanese, realizza nel 2014 Beats of the Antonov, vincitore del “People’s Choice Award” del Toronto Film Festival, e proiettato in questi giorni all’interno del Human Rights Nights di Bologna. Il documentario racconta la lotta continua degli abitanti delle regioni del Blu Nilo e delle montagne Nuba per la riconquista dei propri diritti e della propria identità. Bombardati indiscriminatamente dagli Antonov, aerei da guerra inviati direttamente dalla capitale Khartoum, questi popoli sono stati costretti a rifugiarsi tra le montagne o vivere in campi profughi.

Kuka realizza un documentario dai tratti giornalistici, in cui mette in luce la forza della resistenza delle popolazioni delle regioni del sud, partendo da un punto di vista innovativo. Canti, balli storie, tradizioni vengono messi in risalto per ricostruire l’identità di questi popoli. L’immagine è caratterizzata dai contrasti: da un lato la popolazione colorata e sorridente, con la voglia di mostrare la propria essenza, dall’altro l’incombenza degli Antonov, che causano terra bruciata e distruzione.

Le inquadrature sono composte quasi esclusivamente dai primi piani degli abitanti di vari villaggi del sud del Sudan, volti diversi che raccontano le proprie esperienze, dall’etnomusicologa al cantante, dalle donne del villaggio ai militari. Nei loro occhi e nelle loro parole, si riscontra la forza e la determinazione di un popolo che resiste ai continui attacchi. Il conflitto in Sudan nasce dalle divisioni interne della popolazione, e i detentori del potere stanno imponendo un’islamizzazione del territorio, nel tentativo sradicare la variegata cultura tradizionale.

La resistenza di queste popolazioni avviene anche tramite la musica. Intonando i canti tradizionali, da quelli più antichi a quelle più recenti, esprimono il proprio essere, l’energia di un popolo ancora vivo e combattivo. La musica non è solo un mezzo per sfuggire alla guerra, ma diventa simbolo e strumento di ricostruzione culturale, avvicina le persone alle proprie tradizioni, in modo da ricongiungersi alle proprie origini. Riscopriamo l’importanza atavica della musica nelle parole dell’etnomusicologa Sarah Mohamed Abunama-Elgadi: “io sono una vera Sudanese, perché voglio ballare, suonare ed essere felice.” E se ci si chiede se esiste veramente un Sudan felice e sorridente che ama la vita, la risposta è attraverso le note, luogo in cui l’identità può traspirare, perché la musica è una parte importante e vitale della società come l’acqua, il cibo e l’aria.

Chiara Maraji Biasi