Per festeggiare l’inizio di un 2014 che si annuncia strepitoso per i cinefili e gli amanti della storia del cinema, Cinefilia Ritrovata sale sul carro di Ernst Lubitsch. Appuntamento di inizio anno del progetto Cinema Ritrovato al Cinema, Ninotchka è la punta di diamante di una retrospettiva sul regista berlinese che comincia il 4 gennaio e prosegue fino al 19. Approfittando della ricca fortuna critica presente sul sito dedicato al film, pubblichiamo a seguire le righe del più profondo e fine conoscitore di Lubitsch in Italia, Guido Fink, autore di un ormai mitico Castoro Cinema del 1977.

È a Ninotchka, certo più vivo nella memoria degli spettatori, che dovremo rifarci per meglio comprendere i conflitti e le sintesi che Lubitsch ci propone, magari senza nessuna ambizione definitiva. Va notato anzitutto che Ninotchka, proibito in qualche paese nell’immediato dopoguerra per timore di turbamenti dell’ordine pubblico, non è certo un film anticomunista. S’iscrive se mai nella lunga serie di film hollywoodiani che verso la fine degli anni Trenta, magari in vista della prossima alleanza, tentano maldestri approcci con l’Unione sovietica e al tempo stesso ne prendono le distanze: fra Tovarich, insomma, e i film filorussi del decennio successivo (Song of Russia, Days of Glory, The North Star, ecc.). a ben vedere il fatto che Ninotchka sia comunista non è poi determinante: potrebbe trattarsi benissimo di una donna d’affari americana, convertita da un viveur parigino alle delizie del dolcefarniente. Quello che conta è il modo della ‘conversione’, che non si basa di una scoperta della sessualità (Ninotchka, chiaramente, non ha nulla da imparare su questo piano) e nemmeno sulle insidie della haute couture (anche se l’acquisto del cappellino è importante). Nella scena della trattoria, che è il vero cardine o ‘spartiacque’ della vicenda, Léon costringe finalmente Ninotchka a ridere. ‘Di che cosa’, chiede Ninotchka. Di niente, risponde Léon: ‘Dell’intero, ridicolo spettacolo della vita. Della gente che è così seria. Che si dà tanta importanza. Se non riesce a pensare a nient’altro, può sempre ridere Lei di me’. […] La molteplicità di registri di Ninotchka è parzialmente unificata dal ritmo su cui poggia il film, che è un ritmo, al solito, binario. Non tanto basato sulle opposizioni (capitalismo e comunismo, vecchia e nuova Russia, Mosca e Parigi, uomo e donna, amore e dovere) quanto sulla ripresa e sul riecheggiamento: tutto, a ben vedere, ricorre due volte nel film, e la prima volta viene generalmente respinto o criticato,la seconda accettato con gratitudine: così il cappellino, che all’inizio appare mostruoso alla protagonista, o le barzellette di Léon, a cui ricorrerà poi, in un momento di disperazione; così, persino, la Tour Eiffel, che Ninotchka non ha mai trovato e di cui, sull’aereo che la porta via da Parigi per sempre, ripeterà a Iranoff, Buljanoff e Kopalski misure e caratteristiche tecniche. Tutto dunque viene rovesciato (Léon che suggestionato da Ninotchka vuole dividere le sue sostanze con il vecchio maggiordomo Gaston, e Gaston terrorizzato all’idea di dovergli dare metà dei suoi risparmi) o corretto (‘Dice un proverbio russo: il gatto colto coi baffi sporchi di panna farà meglio a trovare una scusa’; ‘Beh, con la qualità della nostra panna, è la Russia che dovrebbe scusarsi coi gatti’).La filosofia del capitalismo, che Ninotchka finisce per far sua, ha in sé l’idea dello spreco, del consumo e dell’effimero: di qui la coscienza della labilità di ogni soluzione, e la tendenza a riassaporare ogni frammento d’esperienza prima che si cancelli. ‘Compagni!’, grida Ninotchka, incoronata ‘Gran Duchessa del Popolo’ e ubriaca di champagne. ‘Compagni, la rivoluzione è in marcia, le bombe cadranno, la civiltà crollerà a pezzi. Ma per favore, non adesso‘. Allo stesso modo, Madeleine de Beaupré dimostrava la perfetta legittimità di una stagione al di fuori della legge prima di trasformarsi in una signora per bene, e Lady Barker si concedeva una vacanza come ‘Angelo’ nel quadro di una routine di moglie perfetta e squisita padrona di casa. Il denaro circola facilmente, passa da una mano all’altra, ritorna all’origine, come in Bluebeard’s Eighth Wife: e la Garbo che ride (di se stessa, ma anche di noi) è una Garbo che, a differenza di Ninotchka ormai votata allo hic et nunc, guarda dal di fuori e dall’alto questi passaggi patetici, un po’ buffi.

Guido Fink, Ernst Lubitsch, La Nuova Italia, Firenze 1977