Di recente, all’Archivio Videoludico, ci è capitato tra le mani un articolo di Roy Menarini pubblicato in uno degli ultimi numeri di FilmTv e dedicato allo spettatore cinematografico, più in particolare alla mania dei cinefili di sedersi nelle prime file. Con ironia, l’autore esprimeva il proprio pensiero in proposito, rivelando una posizione estrema e d’impatto: “non sopporto gli spettatori”. Che ne pensa il videogiocatore? C’è sempre stata una certa rivalità tra spettatori e giocatori, due modelli di fruizione che presentano analogie e differenze, e che spesso si rivelano semplicemente complementari: uno non esclude l’altro, anche se è più facile trovare un giocatore cinefilo che un cinefilo che si dichiara candidamente giocatore. 

“Vedo la stragrande maggioranza dei film da solo”, dichiara Menarini. In altre parole, pur non negando la dimensione collettiva dell’esperienza cinematografica, l’autore afferma la necessità della solitudine. La stessa solitudine che è stata a lungo contestata ai videogiocatori, colpevoli di preferire lo schermo del proprio PC o del televisore alle belle giornate di sole con gli amici. Le parole di Menarini svelano che anche tra i cinefili serpeggia il virus dell’asocialità, e che tutto sommato ci si può convivere benissimo.

Guai, però, a confermare la credenza popolare che il videogiocatore sia modello di mancata integrazione. Anche perché il primo grande successo della storia, Pong, era stato sin dal principio pensato per due giocatori, tanto per ribadire che il gioco, nelle sue varie declinazioni, una dimensione sociale ce l’ha fin dalla notte dei tempi. Semplicemente il tubo catodico spaventa da sempre le mamme, il sole meno.

Nelle parole di Menarini, in ogni caso, non si legge tutto questo odio verso gli altri spettatori. Semplicemente, come si fa con qualsiasi potenziale disturbatore, si preferisce lasciarli alle spalle, nelle file più lontane: un girone dantesco in cui convivono ruminanti, aliti pesanti, coppiette dedite all’amore, dormiglioni e bestemmiatori. Il più grande pericolo, però, è il drogato di tecnologia, che illumina a giorno la sala col suo cellulare. Ecco, il videogiocatore, pur detestando le compagnie moleste, ha dalla sua una predisposizione al multitasking: per cui sono benvenuti cellulari e altri dispositivi, che in alcuni casi si rivelano persino utili al gioco, qualora ci si blocchi per un enigma troppo complicato. C’è anche da dire che, proprio grazie alla tecnologia, il giocatore desidera la socialità: il gioco online è ormai all’ordine del giorno, per cui il videogiocatore ha sempre la doppia opzione della solitudine e della condivisione. Il videogiocatore è insomma un individuo altamente sociale. E a chi dice che la socialità è fatta di persone, non di avatar, ricordiamo che il giocatore può accerchiarsi anche di amici veri, nel proprio salotto, e quando non può averli nel proprio salotto può giocare con loro a chilometri di distanza. Nel cinema questa condivisione a distanza e in tempo reale dell’opera è assente, dal momento che la proiezione può essere goduta solo da coloro che si trovano in una precisa sala in un preciso momento.

Tuttavia, “la condivisione cinefila si pratica prima e dopo il film, in osteria, in redazione, in aula, online o tra le coperte. In sala no: soli per sempre”. Il videogiocatore vive anche del durante, perché i giochi mica durano due ore, per cui tra una sessione e l’altra la community, fisica o virtuale, diventa luogo per eccellenza della condivisione in itinere. Ecco emergere un altro dettaglio: portare a termine un gioco richiede, in media, un investimento di tempo (e di abilità) notevole. Vuoi vedere che i cinefili, da sempre tacciati di snobismo, sono pure più pigri?