Scaldiamo i motori, mancano pochi istanti. Cinefilia Ritrovata, come ogni anno, seguirà il Cinema Ritrovato tutti i giorni e tutto il giorno, con un team di contributori eccezionale e ancora più ricco del solito. Si parte il 25 giugno (ma altre chicche vi terranno compagnia nel frattempo), per arrivare fino al 2 luglio – e oltre, visto che finiremo di pubblicare analisi, recensioni e documenti solo nella settimana successiva…Nell’attesa, vi proponiamo la presentazione del festival scritta da Gian Luca Farinelli per il Catalogo di quest’anno, letta la quale verrà voglia di lasciare ogni altro appuntamento e correre in sala.

“Dopo molti anni di glamour, la faccia di pietra di Keaton è il nostro trentesimo manifesto. Il suo sguardo ipnotico, che sembra scrutare dentro ognuno di noi, ci ricorderà l’impresa avviata un anno fa con la Cohen Collection, il restauro della sua opera, il Buster Keaton Project. Provate anche voi ad uscire dal campo visivo di Buster. Impossibile!

Houdini

L’immagine di Houdini che si fa incatenare, chiudere in un baule e che poi, incatenato, viene immerso nell’acqua, mi è spesso tornata a mente in questi mesi. Non è facile organizzare, nello stesso tempo, un festival come Il Cinema Ritrovato, il Congresso della Fiaf e una grande mostra sui Lumière. Dimenticavo, tutto senza extra budget….

Non è ancora chiaro se la sera del 2 luglio saremo riusciti a riemergere dall’acqua. Se ci riusciremo sarà perché alla Cineteca di Bologna e al Cinema Ritrovato lavorano solo persone straordinarie, che credono nel valore sociale della cultura, delle cose ben fatte. Tante donne, tanti uomini sono stati fondamentali in questi trent’anni, molti di loro (Vittoria, Hoos, Piero, Fred, Vittorio, Carlo, João, Peter) purtroppo non ci sono più, ma il loro ricordo prezioso rimane con noi, ci accompagna. Se questo grande festival a piccolo budget si realizza è perché, dal primo anno, abbiamo goduto della generosità di una comunità di amici che con i loro suggerimenti, con il loro sostegno, con la cura di rassegne e omaggi, ci hanno aiutato a definirne l’identità; e poi c’è il pubblico (notre clientele, come scherzosamente diceva Peter von Bagh), sempre più numeroso e vitale, da subito molto internazionale, vero protagonista, vera anomalia nel panorama sempre più provinciale dell’Italia e dei festival italiani.

Consigli per affrontare il programma

Un festival con quasi 500 film in otto giorni richiede molto lavoro per la squadra che lo fabbrica, ma anche da parte del pubblico. Un consiglio, prendetevi un’ora per guardare il catalogo. Sono sicuro che ne sarete soddisfatti, nessun festival al mondo ha un catalogo così bello.

Il programma intreccia diciannove sezioni. Lo si può leggere orizzontalmente e trovare, nella stessa sala e alla stessa ora, giorno per giorno, il film della sezione che state seguendo. I film più rari e importanti hanno repliche in orari e giorni diversi. Ma attenzione, i programmi della sala blu del Lumière, curati da Mariann Lewinsky, vanno letti anche verticalmente, perché ogni giorno propone un tema diverso, che si sviluppa di film in film.

Seguite le proposte dei curatori delle varie sezioni. Tra loro ci sono varie generazioni di cinefili e studiosi, da Peter Bagrov a Olaf Möller, da Ehsan Koshbakht a Alexander Jacoby, da Johan Nordström a Bernard Eisenschitz, da Emiliano Morreale a Fernando Martín Peña, a Edgardo Cozarinsky, intellettuale, scrittore, cineasta argentino, cinéphile colto ed ironico; mi soffermo su di lui perché da molti anni mancava al Cinema Ritrovato, gli sono particolarmente grato per la retrospettiva dedicata al cinema argentino, che dopo la selezione di quest’anno non sarà più, per molti di noi, un arcipelago inesplorato.

Seguite altresì le tracce di relazioni evidenti o discrete. Il 30 giugno è la giornata dedicata a Francis Ford Coppola, con due film della sezione Marlon Brando (Padrino e Apocalypse Now Redux nella versione 35mm Technicolor) e con il documentario di Michele Russo sulla famiglia Coppola, da Bernalda all’America, storia di integrazione, di musica, di cinema. Un film prezioso, una grande storia sconosciuta. O ancora. Pochi sono i film che hanno saputo raccontare la fine della più longeva cultura umana, quella contadina. Ne presentiamo due perfetti, Goupi Mains rouges e L’albero degli zoccoli. E scopriamo che cineasti lontani come Becker e Olmi avevano in comune un grande amico, Mario Soldati, al quale Il Cinema Ritrovato 2016 dedica una rassegna: uno dei maggiori scrittori e giornalisti italiani del Novecento, cineasta dalla carriera breve ma costruita, con coerenza stilistica, intorno a uno sguardo umanista e a un talento finissimo per l’adattamento letterario (Fogazzaro, Moravia, Graham Greene).

Le proiezioni in Piazza Maggiore si aprono con Amarcord e si chiudono con Fat City, due tra i più grandi film a colori degli anni Settanta. E nel programma, non dichiarato, c’è anche un omaggio agli Huston padre e figlio: di Walter mostreremo la grande interpretazione in A House Divided; di John, oltre a Fat City, girato a 66 anni con la mano di un ragazzino della New Hollywood, presentiamo il restauro di Beat the Devil, girato a Ravello, sceneggiato da Truman Capote, sesto film della coppia Huston-Bogart.

Un tema ‘etico’, se così vogliamo dire, soprattutto percorre e sostiene il festival. Il 60% dei film presentati saranno in pellicola. Perché, quando è possibile, continuiamo a preferire la proiezione in pellicola al DCP. E come era facile prevedere (dopo l’esempio del vinile), e come la Kodak aveva annunciato al convegno bolognese dell’anno passato, la pellicola sta tornando. I due premi principali dell’ultimo festival di Cannes, I, Daniel Blake di Ken Loach e Juste la fin du monde di Xavier Dolan, sono stati girati in pellicola. Tra le proiezioni 35mm del Cinema Ritrovato, segnalo le tre serate in Piazzetta Pasolini con il proiettore a carboni, la sezione dedicata al Technicolor, con rarissime copie vintage (alcune provenienti dalla collezione personale di Martin Scorsese), arricchita quest’anno da una séance nella quale l’Academy Archive mostrerà rari test di reference, che servivano per sviluppare le copie in serie; tra questi titoli, entrati nell’Olimpo della storia del colore, film di Hitchcock, Sirk, Ford, Vidor e Hawks. Gli eventi saranno la proiezione in Piazza Maggiore della copia Technicolor 35mm di Band Wagon e la proiezione al Lumière di una copia 35mm, stampata direttamente dal negativo nitrato, di Flesh and the Devil.

Il colore del cinema, la sua storia, sarà l’altro tema ricorrente: dai film Lumière della collezione Auboin-Vermorel al fragile e commovente Kinemacolor, dagli Autochrome esposti nella mostra Lumière!, da White Paradise ai film dipinti e graffiati negli anni Cinquanta da Albert Pierru: i colori del cinema sono quest’anno la strada principale del festival.

L’ambizione del cinema

Il programma parla della forza innovativa del cinema. Che fin dagli inizi ha avuto una pessima reputazione come nonarte, come industria che corrompeva i gusti e rendeva le masse ancora più cretine, come strumento di propaganda del fascismo e dei dittatori. Ma che è anche stato, fin dall’inizio, una zona di utopia realizzata, di cultura accessibile a tutti, internazionale, non-nazionalista, capace di creare una comunità sovra-temporale e sovra-nazionale, una zona dove ognuno di noi trova specchi e storie che sono strumenti per capire noi stessi come esseri umani, con le nostre sofferenze, emozioni, con il nostro proprio destino.

La bellezza delle vedute Lumière ci lascia stupefatti e ci rapisce. Sono le prime immagini in movimento che ritraggono il mondo, e ce ne restituiscono una visione straordinariamente potente e bella. I Lumière sono stati capaci di offrire un’immagine degli uomini e della terra positiva e gioiosa; le tante immagini liete che ritraggono la loro famiglia non sono che un’anticipazione della felicità (le bonheur) che (pensavano) stava per travolgere il mondo e alla quale lavoravano attivamente con le loro continue invenzioni. L’ambizione, la spinta continua a ricercare, a superarsi, fa parte del Dna del cinema: se visiterete la mostra Lumière! (che per la prima volta esce dalla Francia) vedrete come Auguste e Louis, pur consapevoli del valore della loro scoperta, cercarono, immediatamente, di ottenere di più, il colore, il 70mm, il Fotorama, il 3D. E intanto, scoprirete nel programma dedicato alla prima stagione del cinema, le vedute realizzate nel 1896 dall’American Mutoscope utilizzavano una pellicola più larga, 68mm, e i film hanno sullo schermo una nitidezza e una qualità di dettaglio, diremmo oggi, iperrealista… Nella sezione Ritrovati e restaurati muti viene presentata la prima versione cinematografica di Quo Vadis?: il romanzo di Henryk Sienkiewicz in 65 metri, poco più di un minuto. Il cinema non conosce limiti e, spesso, corre più avanti del suo tempo, anche su grandi questioni sociali: nella sezione 1916 potrete vedere Half-Breed di Allan Dwan, dove la sceneggiatrice Anita Loos adatta per lo schermo un romanzo coraggioso e scomodo, protagonista il giovane Douglas Fairbanks nel ruolo d’un mezzosangue figlio d’una nativa americana sedotta e abbandonata. Un film che condanna il razzismo e l’ipocrisia. Le donne, sceneggiatrici, attrici, registe, già in epoca muta (da Marie Epstein a Fabienne Fabrege, da Zoja Barancevic a Diana Karenne) sono pioniere di istanze che si sarebbero poi faticosamente compiute molti decenni dopo.

Ma il programma è costellato di grandi film socialmente coraggiosi: da The Kid a Tempi Moderni, da Die Letzte Chance di Leopold Lindtberg, che nel 1945 pone alla Svizzera e al mondo il tema dell’accoglienza di coloro che scappano dalla furia nazifascista, a El puño de hierro, 1927, di Gabriel García Moreno, film muto messicano (un patrimonio al 90% perduto) che parla di droga e delle sue conseguenze sulle persone, fino a Déjà s’envole la fleur maigre di Paul Meyer, uno dei più grandi film sull’emigrazione e sull’impossibilità dell’integrazione, un film dove le vittime, gli emigrati, siamo noi italiani.

L’aria del tempo

Da subito, come Langlois e Renoir raccontano nel bellissimo Lumière (Francia, 1968) di Eric Rohmer, gli inventori del Cinematografo non solo riprendono la realtà, ma riescono a cogliere gli aspetti più profondi della loro epoca. Scelgono cosa filmare in una città. Riprendono quando il sole è allo zenith. Scelgono l’inquadratura, poi è la vita che improvvisa. Per la prima volta si vede la società com’è, non come vuole essere rappresentata. Tutto è là, anche l’imponderabile.

La macchina del tempo del Cinema Ritrovato ci dà molti esempi dell’imponderabile, di film che potevano esistere solo in quel dato momento. I quattro documentari di Robert Drew su J. F. Kennedy, girati dal 1960 al 1964, sono documenti irripetibili su quel momento della storia del Novecento, ma fondano anche un nuovo sguardo del documentario. Les Portes de la nuit (1946) è l’ultimo film del trio Carné Prevert Kosma. Sarà un fiasco, eppure ci sono poche opere che raccontano così bene l’oscurità, la doppiezza, il dolore della fine di una guerra che aveva segnato il tessuto umano e sociale della Francia. I film russi del 1916 rappresentano le ultime straordinarie immagini della stagione del cinema zarista e sono al contempo il canto del cigno dell’epoca imperiale. King of Jazz di John Murray Anderson è un monumento all’età nuova, al cinema parlato, cantato, ballato; Bing Crosby vi compare per la prima volta, le scenografie, ispirate all’art deco, sono talmente smisurate da esser già un annuncio del pop. Il musical è alle porte, ma il cinema non è ancora pronto a farne una lingua totalmente sua.

Tutta la rassegna sugli anni di Carl Laemmle jr, resa possibile dal lavoro di NBC Universal, respira l’aria del tempo e ci fa scoprire opere (di autori come Leni, Stahl, Fejos, Wyler, Cahn, Whale) percorse da una libertà che l’arrivo del Codice Hays avrebbe reso impossibile.

Sarà bello ascoltare Bernardo Bertolucci e i suoi ricordi su Marlon Brando, l’attore moderno per eccellenza, che portava su di sé l’arrivo di inquietudini nuove, l’annuncio di cambiamenti profondi. I due volti della vendetta (One-Eyed Jacks) è l’unico film che ha diretto, western atipico, divorato da un fuoco nuovo, che anticipa trasformazioni di Hollywood e dei suoi autori (e forse proprio per questo il film è così amato da Scorsese e da Spielberg). Mentre Jacques Becker, spiega Bernard Eisenschitz, era così in anticipo rispetto alla sua epoca, da essere più vicino ai giovani cinéphile che si preparavano a sconvolgere le tradizioni, che ai cineasti suoi coetanei.

Memorias del Subdesarrollo si svolge tra la fallita invasione della baia dei Porci (aprile 1961) e la crisi dei missili cubani (ottobre 1962). La rivoluzione è avvenuta, ma il protagonista non ha capito quello che sta avvenendo. Tomás Gutiérrez Alea realizza nel 1968 un film capitale per i cineasti latinoamericani, che vi vedranno un modello nuovo. Nel 1965, I pugni in tasca diventa un film immediatamente internazionale, perché, parlando della rovina d’una famiglia emiliana, anticipa l’aria del ‘68… La versione che presentiamo è stata reintegrata della scena del bacio, che Bellocchio aveva espunto, per prevenire più ampi tagli censorii.

Poi ci sono immagini, stili, concetti che definiscono un secolo. Il Novecento è l’omino che finisce negli ingranaggi, sono Fred Astaire e Cyd Charisse che ballano al Central Park sulla musica di Dancing in the Dark, è la divina Garbo fotografata da Bill Daniels.

Il cinema, il mondo

Tra le vedute Lumière del 1896, ce n’è una che mi torna a mente ricorrentemente, Tigres. Si vedono due tigri, un inserviente dà loro del cibo. L’inquadratura è piene di sbarre. È un’immagine crudele, perché non si vede quanto sia grande la gabbia. Enorme? Minuscola? Il mondo al tempo dei Lumière era smisurato. Gli aerei, i mezzi di comunicazioni hanno rimpicciolito il globo, che attraverso le vedute Lumière torna alla sua grandezza ‘naturale’, antica. Appena inventato il cinema, i Lumière inviano i loro operatori a filmare il mondo. Da subito il cinema è un’arte internazionale. La retrospettiva Universal ha al suo interno tre film fotografati da Karl Freund, che ci ricordano che senza l’apporto europeo, Hollywood non sarebbe mai diventata la fabbrica dei sogni del mondo intero. Uno dei sogni che abbiamo lungamente condiviso con Peter von Bagh era quello di fare del Cinema Ritrovato un festival che presentasse film provenienti da tutto il mondo, che uscisse dal monopolio occidentale. Quest’anno ci siamo riusciti meglio che mai. Le sezioni dedicate a Giappone, URSS, Cuba, Iran, Argentina, e ai film restaurati dalla World Cinema Project, consentono di avere un’idea molto più ampia del Novecento e dei suoi molti linguaggi.Un moderno tabù, la sperimentazione

La superficialità sembra, ogni anno, appiattire sempre più il nostro orizzonte. Questo programma è un buon antidoto. Se siete al Cinema Ritrovato è perché volete godere delle profondità. Uno dei film che più mi ha colpito è dunque Les Abysses, esordio esplosivo di Nico Papatakis, autore pressoché sconosciuto al pubblico italiano (ma è per lui che Christa Päffgen divenne ‘Nico’). E ancora autori sorprendenti come Karpo Godina, direttore della fotografia e cineasta sloveno, autore di cortometraggi dove l’osservazione di quella che era la Yugoslavia è riscaldata da una vena ironica, sovversiva, poetica. Come Ebrahim Golestan, scrittore, produttore, regista che diede vita alla più importante produzione d’autore nell’Iran dello Scià, tra il 1961 e il 1971. Come Fourough Farrokhzad, autrice di una sola opera, La casa nera, cortometraggio su qualcosa di indicibile e non ammesso alla vista, i lebbrosi.

Who’s Crazy (1966) di Thomas White è forse il film più sconosciuto e ‘ritrovato’ del festival. White aveva in mente la libertà dello slapstick e nel film combina la musica di Ornette Coleman con le performance del Living Theater. A proposito di libertà: Valeska Gert, cabarettista nella Berlino degli anni venti, legata al movimento espressionista, pioniera della danza moderna, ha una filmografia piccola ma eccellentissima, Pabst, Renoir, Siodmak, Fellini, Schlöndorff i registi che l’hanno diretta. La vedremo in due film So ist das Leben di Carl Junghans, film comunista realizzato nel 1929 in Cecoslovacchia e nel documentario che Volker Schlöndorff le ha consacrato un anno prima della morte. Avremo il privilegio di ascoltare da Volker i racconti su questa artista esemplare del XX secolo.

Il futuro

Come cento anni fa, viviamo un’epoca di grandi trasformazioni. I film del Cinema Ritrovato ce lo insegnano: per guardare avanti, dobbiamo guardare indietro.

Il Cinema Ritrovato è, prima di tutto, il festival delle cineteche di tutto il mondo. Per festeggiare il nostro anniversario, non potevamo sperare di meglio che ospitare a Bologna l’annuale congresso della FIAF. Se oggi possiamo allestire un programma di questa ricchezza, se possiamo programmare il cinema del passato, è grazie alle cineteche. Se oggi il restauro cinematografico interessa gli aventi diritto di tutto il mondo, questo è reso possibile dagli archivi della FIAF, molti dei quali, per decenni, hanno dovuto lavorare in semiclandestinità per poter salvare intere collezioni. Ad alcune grandi personalità del mondo degli archivi dedichiamo un appuntamento fisso, ogni giorno del festival.

Il primo fine settimana, le cineteche FIAF daranno vita a un simposio che parlerà del futuro degli archivi: come conservare (molti nuovi depositi, anche di nuova concezione, sono in costruzione in tutto il mondo), come esporre (grandi musei dedicati al cinema hanno aperto o stanno per aprire), come e dove programmare.

Per noi, Cineteca di Bologna, il futuro passa dalla pellicola e dalla sala cinematografica. Contiamo di inaugurare, l’anno prossimo, una nuova sala, Il Modernissimo, che funzionerà come un’ideale continuazione del Cinema Ritrovato. Una sala inaugurata cent’anni fa, chiusa da un decennio, uno spazio architettonico magico, perfetto per il cinema, tutto il cinema, dai Lumière ad oggi. Un luogo unico, dove rinnovare la passione per quello che amiamo.

Per questo è con molta gioia che apriamo la trentesima edizione del festival con Voyage à travers le cinéma français di Bertrand Tavernier. Lo dicono i libri, i film, le opere dei filosofi, degli storici, degli artisti di tutto il mondo, il principale dovere di ognuno, in questo passaggio stretto da un millennio all’altro, è quello di trasmettere quello che abbiamo appreso. Un maestro del cinema come Tavernier lo fa in maniera lucida, colta, semplice e commovente. È come se un amico caro ci raccontasse gli amori della sua vita, i suoi più intimi segreti. Scopriamo un altro Gabin, un altro Renoir, e molti dei film che vedremo nel programma del Cinema Ritrovato. Grazie Bertrand!

Gian Luca Farinelli