Dibattito acceso, intorno al nuovo film di Werner Herzog. Sempre più imprevedibile e sorprendente nel non fiction (a fronte di progetti di finzione quanto meno contraddittori), il regista tedesco ci sfida questa volta con un documentario apparentemente semplice, capace invece di nascondere un’anima inquieta. Ragioniamoci.

Werner Herzog è l’equivalente artistico di quelle persone mercuriali e instabili da cui non sai mai che cosa aspettarti quando ci esci a cena. Questa volta sarà la versione geniale e generosa? O quella scostante e irritante? La scissione in Herzog, almeno negli ultimi anni, riguarda per lo più la tipologia del progetto: i film di finzione sono stati da tempo, uno più o uno meno, molto deludenti; i documentari invece mostrano un Herzog eccezionalmente capace di mettersi in gioco con i linguaggi e gli standard dell’audiovisivo contemporaneo.

 

Lo and Behold è un documentario e, dunque, funziona benissimo. Se all’inizio si suda freddo (le “talking heads” e la sensazione di un’opera divulgativa sul concetto di Internet fanno pensare il peggio), ben presto le cose cambiano, e l’Herzog antropologo e un po’ “malato” riemerge osservando tutti gli aspetti più oscuri, sorprendenti, bizzarri, visionari e futuribili del concetto di Rete digitale.

Le domande che si pone e ci pone attraverso dieci brevi capitoli sono apparentemente universali. Che cos’è Internet oggi? Che ruolo ha nelle nostre vite e come influirà sul nostro futuro? Nell’esplorazione che nasce da questa domanda, Herzog, insegue robotica e hacking, nuovi fenomeni psicologici e dinamiche sociali, comportamenti psicotici e potenzialità inespresse.

Probabilmente il film cui Lo and Behold più somiglia è L’ignoto spazio profondo, anche se mancano in assoluto tutta la dimensione contemplativa (e non è di per sé un difetto). Caso mai si possono lamentare certe forzature, come nel caso delle persone ricoverate nel centro di recupero per internet-dipendenti, che in verità si scoprono essere più che altro ludopatici da videogame (che con il web c’entrano il giusto, e anzi gli pre-esistono).

Detto questo è sempre un piacere vedere come Herzog svuoti dall’interno il formato del documentario, lo innovi nel momento stesso in cui ne accetta le regole, rimanga un uomo curioso, stimolante e toccato dalle trasformazioni che viviamo. Quando – intervistando uno scienziato che immagina una futura colonia umana su Marte – Herzog afferma che partirebbe all’istante per il Pianeta Rosso, gli si crede senza dubbio, conoscendo la sua storia.

Chiudiamo con queste parole di Herzog, molto chiare, rispetto al suo modo di fare domande, restando nascosto dietro la camera, e di commentare il film in voce over: “I don’t do interviews. I’m not a journalist. That’s probably where I differ from other filmmakers, who did document aspects of the Internet. How can I say it? I just followed my curiosity. Basically I plowed on from one person, from one aspect of the Internet to the next in a fairly spontaneous way. There was an urgency of curiosity in me”.

Roy Menarini