Con Julieta – recentemente presentato al Festival di Cannes e in questi giorni in programmazione al cinema Lumière – Pedro Almodóvar parla di nuovo con noi. Ritorna, come in gran parte della sua filmografia (Donne sull’orlo di una crisi di nervi, Tutto su mia madre, Parla con lei, Volver), a parlare dell’universo femminile, ritorna a scavare nel nostro modo di essere figlie, amanti e madri. Ma questa volta lo fa con un registro nuovo e diverso, con una sobrietà narrativa e un rigore anche estetico che fatichiamo a riconoscergli. Registro allineato sicuramente alla sua maturità personale e professionale ma anche allo stile dei racconti di Alice Munro a cui Julieta è liberamente ispirato. Almodóvar non è però troppo fedele alla scrittrice canadese e fa giustamente suo lo spunto narrativo per poi renderlo materia più mediterranea e palpitante.

Il film si apre con il primo piano di un tessuto rosso agitato da un respiro, un alito che ci fa pensare a quello che gonfia le tende bianche di Daisy ne Il grande Gatsby. Ma il bianco dell’innocenza perduta cantata da Fitzgerald è solo un fantasma che lascia subito spazio al rosso dell’amore e della morte narrato qui da Almodóvar. Un rosso che torna martellante in tantissime scene, anche solo in piccoli particolari come unghie, orecchini, labbra, abiti, rose.
Julieta – un’intensa Emma Suárez, che porta senza trucco e con muta eleganza rughe, dolori e occhiaie del suo personaggio – sta per trasferirsi in Portogallo col compagno Lorenzo ma cambia improvvisamente idea dopo aver avuto poche e scarne notizie sulla figlia che non vede e non sente da 12 anni. Il ricordo di Antia, che al compimento dei suoi 18 anni l’ha lasciata senza dare spiegazioni, ritorna prepotente e la costringe a rievocare il passato. Julieta inizia così a scrivere un diario e attraverso numerosi flashback ci racconta la sua storia, partendo da quando ancora molto giovane – col bellissimo volto di Adriana Ugarte, dolce e spigoloso insieme – la sua vita viene sconvolta da due morti violente.
Almodóvar ci immerge così in una materia tragica, con riferimenti espliciti a personaggi di Platone e di Omero – disseminando accenni a Ulisse, Circe, Prometeo – ma lo fa con un racconto asciutto, distillando il dolore e trattenendo i sentimenti sulla soglia, le lacrime sulle ciglia.
Julieta risulta infatti un film sul non detto, sul dolore cristallizzato che non riesce ad esprimersi, sul senso di colpa taciuto ma ugualmente assorbito col latte materno (il titolo del film doveva essere Silenzio ma è stato cambiato per non sovrapporsi a quello del prossimo di Scorsese). E il muto grido di aiuto, la preghiera laica che si alza dalla disperazione dei personaggi feriti – che si tratti di Julieta, Antia o dell’uomo incontrato sul treno – alla fine è una sola: parla con me.
In questa atmosfera rarefatta Almodóvar traccia il contorno di personaggi veri, semplici e allo stesso tempo ambivalenti: la rude, affezionata e un po’ perfida domestica (interpretata da un’ hitchcockiana Rossy de Palma), l’artista Ava, amica e nemica (il dubbio che la a tatuata sul cuore rosso le appartenga si insinua nel tempo di un fotogramma ma non ci abbandona più), Antia che oscilla fra il ruolo di figlia e quello di madre della sua stessa madre (bellissima e struggente la scena in cui Julieta perde improvvisamente la sua giovinezza dentro l’asciugamano con cui la figlia le sta asciugando i capelli).
Eppure, nella cifra del dolore, della fragilità umana e della facilità con cui ci si ferisce l’un l’altro sta forse il cuore vero di questo film. Julieta in un momento di confidenza, poco prima di rivelare ad Ava che aspetta un bambino, le racconta della nascita dell’uomo secondo Platone: a differenza degli animali a cui vengono dati strumenti per difendersi l’uomo rimane nudo, indifeso, il dolore lo può trafiggere. E forse proprio questo inevitabile dolore alla fine è ciò che ci rende umani. Sui titoli di coda Chavela Vargas nella bella “Si no te vas” canta: “Non andartene, non voglio che tu vada, perché se te ne vai in quello stesso momento muoio io”.

Lorenza Govoni